Riformati quasi per scherzo nel 2008 per incidere un paio di nuovi pezzi poi ancora nel 2010 in occasione del Maryland Deathfest, gli storici
Autopsy hanno ripreso con gusto e convinzione la loro carriera interrottasi nel 1995 dopo il poco esaltante, se non per il nome,
Shitfun e giungono oggi alla pubblicazione del loro sesto full lenght.
Inutile ripercorrere la storia di questa band di culto, se vi siete soffermati sulla recensione attratti dal nome del gruppo e dalla splendida copertina di
Joe Petagno, sapete già che siete alla ricerca di fottuto e grezzo death metal ,di quello di una volta, e qui lo troverete di sicuro.
Non discostandosi molto dal precedente
Macabre Eternal, se non per una maggiore lentezza complessiva, gli statunitensi propongono un altro album 100% nel loro stile, senza sperimentazioni e senza evoluzioni. Qui dentro troverete solo death metal fatto con sangue e attitudine, lontano da produzioni patinate e brani ultra tecnici tanto in voga nei tempi recenti.
La velocità a tutti i costi non è mai stata una prerogativa di
Reifert e compagni, dallo storico
Mental Funeral hanno inserito parti rallentate seguite da accelerazioni e chitarre che scandiscono riff secchi e caotici che precedono e seguono assoli violenti, a volte melodici.
Questo è quello che troviamo anche in
The headless ritual che, a giudicare dall'artwork e dai titoli delle canzoni (non ho purtroppo i testi), sembra un concept album incentrato appunto sulla preparazione del rituale di decapitazione. I brani, alcuni oltre i 6 minuti, altri decisamente più brevi, rinchiudono diversi stati d'animo che vanno dalla rabbia alla sofferenza alla rassegnazione. Molto marcata è l'influenza sabbathiana nelle parti più lente che arrivano perfino a lasciare da soli basso e batteria, come nell'opener
Slaughter at beast house, poi quando pensi che la canzone stia finendo, ecco che un assolo o un riff velocissimo ti risvegliano dal torpore e scuotono ulteriormente le budella.
Tra le highlights del disco, oltre al già citato pezzo di apertura, sicuramente segnalerei
Coffin Crowlers e
When hammer meets bone. La prima con un'introduzione orrifica che crea suspance per poi esplodere, rallentare esageratamente e tornare inquietante nel finale, la seconda invece parte veloce in pieno death metal style alla Obituary (e alla Autopsy direi!) per poi decelerare e riprendere a razzo nel finale. La voce di Chris è il classico growl che tuttavia cerca di essere più espressivo inserendo scream sofferti e urla dilanianti spezzando la monotonia.
Mi rendo conto che per chi non abbia seguito la scena death metal americana e la sua evoluzione dall'inizio (per questioni anagrafiche o di disinteresse verso la proposta) un disco del genere possa sembrare semplicistico e con poco da offrire nel 2013, in questo caso prendete il voto finale "con le molle". Se invece volete cattiveria e semplicità da chi ha contribuito a plasmare e diffondere il genere, prima con l'imprescindibile
Scream bloody gore poi con la propria band, ecco che
Chris Reifert e compagni possono riportarvi in quegli anni e farvi godere ancora.
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