"Wow, qualcuno è incredibilmente creativo qui: il titolo, gli ospiti, le tempistiche..che stranissima coincidenza, non credete? Ma ci sono state milioni di Metal Opera dopo Avantasia, questo è il business.."Indovinate un po' chi l'ha detto? Ma bravi, Tobias Sammet! Parole pronunciate proprio in riferimento alla nuova opera di quel mattacchione autolesionista di
Timo Tolkki, Avalon. Per la serie: viva la fantasia!
Che sia sarcasmo o sincero rosicamento, come si fa a dar torto a Tobi? Partiamo dal titolo ovviamente, Avalon: a parte la fantasia e il fatto che il concetto di Avalon sia stato usato e abusato da migliaia di musicisti, è cosa risaputa per gli amanti del genere che Avantasia è nientemeno che un port-manteau (per gli ignoranti, una fusione) tra le parole "Avalon" e "Fantasia".
Passiamo poi agli ospiti speciali presenti nell'opera: Michael Kiske ha cantato su tutti i dischi degli Avantasia, Rob Rock su Metal Opera Part I e II, Sharon Den Adel idem, Russell Allen su Wicked Symphony e Angel of Babylon, Alex Holzwarth è stato batterista su gran parte della discografia avantasiana..senza dimenticare che lo stesso Tolkki ha interpretato la voce della Torre su Metal Opera. Gli unici due che non hanno mai prestato la propria voce a Sammet sono quindi Tony Kakko e Elize Ryd, che nell'opera di Tolkki invece riveste il ruolo di assoluta protagonista.
Concludiamo poi con le tempistiche:
"The Land of New Hope" esce meno di 2 mesi dopo l'uscita dell'ultimo lavoro di casa Sammet, "Mystery of Time". Cavalcare l'onda lunga? Nice job.
Però..c'è un bel però da tenere in considerazione: la metal opera di Tolkki è un gran bel lavoro, con tutti i crismi del caso. Nonostante le similitudini più o meno velate con gli Avantasia, è innegabile che il buon Timo abbia messo in piedi un'impresa coi fiocchi, sia dal già citato punto di vista vocale sia da quello musicale, con musicisti del calibro del già citato Holzwarth, del vecchio compagno Jens Johansson, dell'ex Dream Theater Derek Sherinian e di Mikko Harkin, ei fu tastierista dei Sonata Arctica.
C'è da dire che non basta la buona manodopera per tirar su un bel palazzo, servono anche le idee buone e in questo Tolkki ci ha sempre spiazzato nel corso degli anni, alternando buone cose a ciofeche mostruose. Beh, in questo caso è quasi tutto buono, con picchi di eccellenza.
La storia è abbastanza banalotta, va detto, quindi la liquidiamo in breve: futuro più o meno remoto (2055), pianeta completamente distrutto, un gruppetto di sopravvissuti che parte alla ricerca della Terra Promessa, una guida spirituale e un guardiano. Quante ne avete già sentite di storie simili? Una cifra spropositata.
Ecco però che su una storia banale a livello di testo si intrecciano voci tra le più interessanti del panorama metal mondiale: i due maggiori protagonisti della vicenda sono senza dubbio Elize Ryd e Rob Rock che, o da soli o in coppia, coprono 9/10 del disco, fatta eccezione per la MERAVIGLIOSA piccola suite finale targata Michael Kiske, che al solito sfodera una prestazione eccellente e commovente, alla faccia di quello che "io col power ho chiuso, basta". Please Michael, non dire più cazzate e continua a cantare queste canzoni in maniera eccelsa.
Tornando a Elize e Rob, il disco inizia proprio con loro protagonisti su
"Avalanche Anthem", dal ritornello veramente antemico e epico, con le voci dei due che s'intrecciano con quella altrettanto grandiosa di Russell Allen, fondamentale per dare quel tocco di ruvidità a una coppia decisamente più tendente all'acuto. La successiva
"A World Without Us" è il secondo singolo scelto da Tolkki per la promozione del disco ed è una di quelle tracce di cui non si sentirebbe granché la mancanza, sulla falsariga dell'opener a livello musicale ma decisamente meno interessante, sempre col trio Allen-Rock-Ryd protagonista.
Altro giro, altro singolo e altra canzone fondamentalmente evitabile, se non a livello meramente promozionale:
"Enshrined in My Memory" vede protagonista la sola Elize in una canzone dal sapore pop-porno (la parte porno è data dal video), sull'onda di quanto prodotto dagli ultimi Nightwish, con un evitabilissimo assolo di Tolkki a rendere il tutto ancor più scialbo.
Le cose però iniziano a carburare con "
In the Name of the Rose", che vede sempre protagonisti Allen, Rock e la Ryd e che prende quanto di buono fatto sentire nell'opener elevandolo a un livello decisamente superiore. Livello che viene scavalcato dall'eccellenza di "
We Will Find a Way", dove un Rob Rock sempre più protagonista viene affiancato da un Tony Kakko assolutamente irriconoscibile (non in senso negativo) in un duetto power davvero da brividi, che mi ha ricordato tantissimo "Breaking Away" nella strofa e la symfoniana "Fields of Avalon" (sarà un caso?) nel ritornello. Canzone davvero bellissima comunque, forse la migliore del disco assieme a..lo vedremo dopo.
A seguire un altro duetto, stavolta tutto al femminile: la miglior voce femminile in ambito metal per il sottoscritto, Sharon den Adel, affianca magistralmente la pur brava Elize Ryd, globalmente autrice di una prova decisamente più convincente dell'ultimo Amaranthe, su "
Shine", una canzone lieve e altamente emozionale, perfetta per tagliare idealmente il disco a metà e preparare l'ascoltatore ad una seconda parte che spinge più sull'acceleratore rispetto alla prima.
Sferzata che viene impressa prima da "
The Magic of the Night" e successivamente da
"To the Edge of the Earth", altra canzone che si contende la palma di miglior brano del disco: tiratissima, con un Rob Rock IMPRESSIONANTE per tenuta e per intensità, linee vocali intrigantissime e musicalmente perfetta. Il Rob Rock di questo brano è senza dubbio uno dei migliori cantanti power a livello mondiale: è un vero peccato che la sua carriera non sia stata adeguatamente all'altezza, troppo sottovalutato.
A precedere la già citata suite conclusiva con Michael Kiske, troviamo l'ultima canzone con la sola Ryd protagonista,
"I'll Sing You Home", meno tirata dei due episodi precedenti ma comunque volta a esaltare la voce della bella vocalist svedese.
Insomma, Sammet aveva tutte le ragioni per lamentarsi ma è innegabile che
"The Land of New Hope" di Tolkki sia una metal opera di livello altissimo, almeno paragonabile all'ultimo lavoro nato in casa Avantasia. Rimaniamo quindi in attesa della seconda parte (ah non ve l'avevo detto? E' una trilogia!), certi che il nostro caro Timo saprà sorprenderci ancora una volta. Speriamo in positivo.
Quoth the Raven, Nevermore..