Domanda: può un
album essere bello (per davvero,
eh, …) e appassionante pur senza dire nulla (proprio niente,
eh, …) di “nuovo”?
Risposta: sì, anche perché altrimenti le uscite discografiche di questi ultimi tempi (e non solo …) sarebbero
quasi tutte una completa delusione.
Aldo Giuntini e il suo
Project giunto all’inossidabile quarta prova, dimostra ancora una volta che affidarsi alla tradizione non è per nulla un atteggiamento imbelle e deleterio, se poi si possiedono la necessaria attitudine ed i mezzi espressivi per rendere efficace e credibile l’intera iniziativa artistica e in tal modo si riescono a conquistare anche i più smaliziati appassionati del genere.
Praticamente
impossibile, infatti, per i
defenders sostenitori dell’arte immarcescibile di Rainbow, Dio e Black Sabbath sottrarsi al magnetismo di questo “IV”, un lavoro capace di celebrare i maestri impossessandosi del loro “spirito”, restituendolo rivitalizzato e florido.
Ovviamente la conferma di Tony Martin dietro il microfono, in splendide condizioni di forma peraltro, non può che costituire un importante “valore aggiunto” in grado di rafforzare l’immagine nitida di validissimi continuatori di un suono che non ha perso una stilla del suo fascino, nemmeno a distanza, ormai, di “qualche” annetto dalla sua prima “comparsa” sulla Terra.
Gli svettanti registri di una voce enfatica e comunicativa, una chitarra funambolica e sensibile, capace di
riff impetuosi o cadenzati e
solos impregnati di buongusto e
feeling, s’intersecano, così, con un
songwriting costantemente vibrante e “a fuoco”, sostenuto da una solidissima sezione ritmica e da arrangiamenti di notevole pregio, per un programma che vince e convince in tutti i suoi frammenti, trasudando classe e talento da ognuno dei suoi pori sonici.
Amanti dell’
hard n’ heavy degli
eighties, affidatevi, dunque, con tranquillità a “Perfect sorrow” e “Saint or sinner”, artefici di frenetici flutti di adrenalina, a “Born in the underworld”, “Shadow of the stone”, "Cured” (un arcigno gioiellino, con inclusioni di Savatage nella pulsante lega metallica), "Bring on the night” e "Not the jealous kind”, evocanti scenari plumbei e sontuosi, oppure ancora a "I don’t believe in fortune” e alle Ozzy-
ane (con fraseggi tra Randy Rhoads e Jake E. Lee …) "If the dreams come true” e “Truth never lie”, che con le loro atmosfere maggiormente spigliate e le loro dilatazioni melodiche appaiono predisposte a sedurre chi predilige il lato più
classy della questione.
Gli strumentali “The rise and fall of Barry Lyndon”, liberamente ispirato dal “Barry Lyndon” di Stanley Kubrick (con tanto di citazione della Sarabanda dalla Suite n. 4 in re minore di Händel, presente nella colonna sonora del film) e "Last station: nightmare”, inoltre, illustrano in maniera incontrovertibile la differenza che passa tra un autentico e sensibile
guitar-hero come Aldo e i tanti
onanisti delle sei corde in circolazione, mentre tocca a “How the story ends” aggiungere il nome di Metallica e Megadeth al nobile elenco di suggestioni acquisibili durante l’ascolto dell’opera.
Non rappresenterà una novità “assoluta” della vostra esistenza, ma “IV” è un viaggio tra
Paradiso e
Inferno che si fa sempre molto volentieri …