Copertina 7

Info

Anno di uscita:2013
Durata:39 min.
Etichetta:Season of Mist

Tracklist

  1. EXHALE
  2. UNSPOKEN
  3. GROUNDED
  4. WE’RE TAKING THIS
  5. LONG GONE
  6. WHAT DOES IT TAKE
  7. STEADY BREAKDOWN
  8. LOW TIDE
  9. VULTURE’S LANDING
  10. QUICKSAND
  11. DRIFTING

Line up

  • Phillip Cope: guitar, vocals
  • Laura Pleasant: guitar, vocals
  • Chase Rudeseal: bass
  • Carl McGinley: drums
  • Eric Hernandez: drums

Voto medio utenti

I Kylesa pubblicano un nuovo lavoro per la Season of Mist, dopo la raccolta “From the vaults vol.1” della quale vi ho parlato di recente. Proprio quella antologia di pezzi rari, assemblata pescando lungo l’intera carriera del gruppo della Georgia, sembrava voler chiudere una lunga fase musicale e preparare l’avvento di un nuovo periodo.
In effetti questo “Ultraviolet” porta qualche cambiamento, pur se non stravolgimenti, nello stile della band americana. E come al solito, la critica d’oltreoceano si è divisa tra coloro che applaudono il tentativo dei Kylesa di rendersi un poco più accessibili, e chi invece grida addirittura allo scandalo e al tradimento della “commercializzazione”. Si tratta di un classico “evergreen”: da una parte si accusano i musicisti di staticità ripetitiva e dall’altra si bocciano quelli che provano ad uscire dagli schemi.
Il nuovo album è certamente interessante, anche se testimonia di un periodo ancora di transizione. Già nell’introduttiva “Exhale” si nota meno irruenza, a fronte di venature psych molto più marcate, pur se il gioco di voci tra Phillip Cope e Laura Pleasant ricorda quello del passato. Ma è nelle seguenti “Unspoken” e “Grounded” che appare chiaro il desiderio di stemperare la ferocia hardcore del passato con forti contaminazioni di melodie narcotiche ed atmosfere allucinate. Molto rilevante l’uso del doppio drummer per costruire pavimentazioni tribalistiche, sulle quali agiscono le chitarre dalle sonorità spesso spaziali, come nell’avvolgente “Long gone”
E se la potente “What does it take” mostra scampoli di urgenza anarchica, le cadenze lente e darkeggianti della successiva “Steady breakdown” ci offrono la prova di un’evoluzione verso temi rilassati, quasi Floydiani, che ai fans della prima ora potrebbero effettivamente non piacere. L’aggressività vocale è un altro aspetto che ha subito mutazioni, i toni diventano meno aspri in cambio di echi e riverberi che aprono orizzonti lunari. Ed in tale modo si arriva alla fine dell’album, con poche esplosioni di furore caotico e molta psichedelia dai risvolti addirittura pop, vedi l’improbabile ballata liquida “Low tide”. Anche la conclusiva “Drifting” è una traccia suadente e trasognata, certamente lontana dai temi di lavori come “Static tensions”, anche se munita di un certo fascino.
Si coglie dunque il tentativo di allontanarsi dal sentiero tracciato fino ad ora senza perdere le proprie radici, cosa che recentemente abbiamo visto fare da nomi come Mastodon e Baroness. E come questi altri gruppi, i Kylesa hanno bisogno di altro tempo per focalizzare precisamente le loro idee, visto che al momento cogliamo ancora delle incertezze. A mio avviso è comunque giusto premiare lo sforzo di evolversi operato dalla formazione di Savannah, che non pensa certamente di diventare prodotto per il grande pubblico.

Ultime opinioni dei lettori

Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?

Ultimi commenti dei lettori

Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?
Queste informazioni possono essere state inserite da utenti in maniera non controllata. Lo staff di Metal.it non si assume alcuna responsabilità riguardante la loro validità o correttezza.