Un bel titolo in latino non si nega a nessuno, e quindi anche i nostri transalpini citano Seneca per ammonirci che non esiste alcunché dopo l’inevitabile trapasso. Concetto che mi trova d’accordo, ma non è questa la sede per inconsulte dissertazioni esistenziali (o post-esistenziali, per l’appunto). Qui si parla di musica, a maggior ragione se buona. E la quinta prova in studio dei Dagoba lo è.
Il combo francese, in effetti, ci investe con 51 minuti di cyber thrash di ottima levatura, che convince sin dal primo ascolto della spettacolare opener When Winter…, la quale, dopo una breve intro minacciosa, deflagra letteralmente in una strofa dal riffing spezzacollo e dal drumming chirurgico. Il growling del singer Shawter cede poi il passo a un magistrale chorus in clean, epico e maestoso. Inizio da applausi. Anche se… Non vi sembra forse la descrizione di un tipico pezzo dei Fear Factory? Beh, in franchezza chiunque, come il sottoscritto, abbia consumato a furia di ascolti quel capolavoro titolato Demanufacture, non potrà che sorridere di fronte ai numerosi ed evidenti scippi ai danni della band losangelena. Tuttavia, sarebbe oltremodo ingiusto etichettare i Dagoba come mera band clone, posto che i nostri, pur rimanendo all’interno dello steccato musicale che il genere d’appartenenza impone, dimostrano di poter dire la loro.
Proseguendo nella tracklist, infatti, notiamo compiaciuti che la produzione è davvero perfetta, che gli arrangiamenti sono curatissimi e che la sapiente alternanza di parti veloci e porzioni in mid tempo mantiene alta l’attenzione dell’ascoltatore. A mio modo di vedere, la maggiore qualità dei francesi risiede nell’incredibile groove che le loro canzoni riescono a sprigionare; il merito va attribuito principalmente al lavoro del nuovo chitarrista Yves Terzibachian, davvero implacabile. Nota di merito, inoltre, per il calibro e il gusto dimostrati dai nostri: pur inglobando influenze metalcore nel loro sound, il quartetto riesce abilmente ad evitarne le perniciose insidie. Anche nei momenti più melodici, dunque, i Dagoba mantengono ben salda la loro identità, evitando soluzioni stucchevoli e non rinunciando mai all'aggressione sonora. Da tale scelta traggono senza dubbio giovamento composizioni quali la possente Kiss Me Kraken e l’apocalittica By the Sword.
Sia chiaro: non tutti i brani sono sul medesimo livello. The Realm Black non mi ha detto nulla, così come ho trovato compositivamente involuto il singolo The Great Wonder e poco incisiva The Day After the Apocalypse. Volendo fornire una critica complessiva, infine, va senz’altro evidenziata l’eccessiva omogeneità dell’album: dopo svariati ascolti, ci si rende conto che molte canzoni si somigliano un po’ troppo, e che alcune soluzioni di songwriting, per quanto efficaci, vengono reiterate oltre il lecito.
Ad ogni modo, non vorrei eccedere nelle critiche: come già evidenziato, ci troviamo al cospetto di un lavoro coi fiocchi, che può fregiarsi senza eccessivi patemi del titolo di miglior album sinora composto dai Dagoba. Non siamo ancora al masterpiece, ma chissà che col prossimo album non giunga la gradita sorpresa…
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