Prima o poi, vuoi per nostalgia dei bei tempi andati, oppure per semplice e sana necessità di far casino, arriva il momento in cui si sente il bisogno di ascoltare qualcosa di semplice, dritto, ben fatto ed estremamente concreto. Quando quella voglia fa capolino, è il momento di tirar fuori un disco come questo Live By The Code, e il gioco è fatto.
I Terror sono sulla ribalta da ormai un decennio e giungono con quest’ultima loro fatica al quinto album da studio, dimostrando d’aver assimilato alla perfezione tanto l’eredità del punk hardcore californiano e newyorkese, quanto la sua rivisitazione in chiave moderna e thrashy avvenuta ad opera di gruppi come i Sick Of It All prima e gli Hatebreed in tempi più recenti.
Dalla prima all’ultima canzone, il disco è compatto, monolitico e diretto, richiamando da molto vicino lo stile che i Terror hanno messo a punto e padroneggiato con il precedente Keepers Of The Faith: up tempos, riffing serrato e ritmiche quadrate, linee vocali tanto semplici quanto efficaci, qualche apertura melodica un po’ più ariosa in alcuni ritornelli trascinanti e poi tanto, tanto, tantissimo impeto.
Fondamentalmente la prima cosa che viene da pensare all’ascolto è “mosh!”, e a ben pensarci, va bene così; ispirare delle sante pogate dovrebbe essere uno dei primi obiettivi di un album del genere.
Tutto, quindi, funziona e nulla è fuori posto? Tecnicamente sì, non c’è nulla da eccepire, se non forse proprio il fatto che il punto di forza dei Terror rischia di diventare anche l’anello debole del loro sound.
Se si è amanti del genere non si può non notare una certa staticità che caratterizza questo lavoro, quasi come se la band californiana non abbia voluto osare più di tanto, preferendo, invece di spingersi “un po’ più in là”, ripetere, anche se in maniera eccellente, la lezione imparata con Keepers. Questo non è necessariamente un male, ci mancherebbe, in grandissima parte segnala una coerenza encomiabile, tuttavia è indicativo di una certa uniformità il fatto che, dopo un po’ di ascolti, siano effettivamente poche le canzoni a stamparsi nella memoria come particolarmente galvanizzanti.
Una nota di merito in tal senso va sicuramente a I’m Only Stronger, da subito orecchiabile grazie ad una spruzzata di melodia in più nel ritornello e a dei cori accattivanti, la tiratissima title track e la conclusiva One Blood, che strizza l’occhio alle influenze più punk del quintetto statunitense.
Buona prova, efficace e diretta. Sicuramente non resterà negli annali come un miracolo d’innovazione e rivoluzione del genere ma sicuramente un disco che si lascia ascoltare più che ben volentieri e che non tende a stancare.
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