Un tornado di furia berserker comincia a sferzare l'uggiosa e sonnacchiosa Gran Bretagna, soffiando un alito di freschezza ed energia nella mummificata scena musicale dell'isola. Quest'onda sonora ha avuto origine nella minuscola cittadina di Corby, crudamente ringraziata nel disco dall'esplicita "Welcome to Shitsville", e porta il nome di Raging Speedhorn. Di primo acchito, vista l'età media molto bassa dei suoi componenti e la presenza di due cantanti, ci si immagina un gruppo immerso nello scenario rap-core o emo-core o comunque qualcosa di moderno (nu?) e specificatamente orientato verso il metal delle più recenti generazioni. Anche ad un primo ascolto superficiale l'impatto oltranzista e brutalizzante, i brani diretti, senza fronzoli, rapidi e brevi come coltellate, ben rappresentati dall'opener "The hate song", indirizzano su una matrice hardcore, idea alimentata dagli isterici screaming del duo Regan/Loughlin. Ma grattando sotto la superficie saltano fuori pesanti influenze di straziato Sabbathismo, enormi quantità di sludge anfetaminico che sfida gli estremismi di Eyategod, Cavity, Iron Monkey, fino a scorgere cupi panzer doomeggianti e distorti riffs circolari presi in prestito dallo stoner più massiccio, cosa non del tutto sorprendente se si tiene conto che la produzione del secondo album del combo inglese è stata affidata sia agli uomini dei Biohazard (Schuler/Graziadei) che a Joe Barresi (QotSA, Fu Manchu), il quale ha potuto inserire sonorità del genere di cui è esperto. Il risultato è il rovinoso ibrido di canzoni come "Scrapin'the resin" o "Chronic youth", trasversali ultraviolenze metal-stoner come se i Fu Manchu in acido provassero a cimentarsi con il thrash più grezzo.
Attitudine e livore quasi Slayeriano per "Me and you man" e "Fuck the voodooman", brucianti strappi conditi da urla spietate, ma anche dimostrazione che i RS sono in grado di variare la loro proposta d'assalto senza scadere nell'ottusità dei puri mazzulatori. Ossessivi e frastornanti in "Iron cobra" dove costruiscono un muro sonoro d'acciaio rinforzandolo con growls furiosi, magari un po' infantili ma certamente genuini, lenti ed oscuri in "Heartbreaker", ennesima riproposizione della lezione Sabbathiana di uno sludge plumbeo e melmoso, dove il paragone più consono pare quello con gli americani Weedeater. Ancora schizzati e marci in una devastante distorsione dei Motorhead, portata avanti con la carica del punk "in your face" dei Black Flag ("Spitting blood") ma pronti a mutare ancora pelle nella conclusione Wizardiana "Ride with the devil", un cadenzato inferno elettrico annichilente, un must per gli amanti di Bongzilla, Nightstick e del metal che sputa veleno mortale. Bello. Vivo. Crudo. Un disco pieno di astio e cattiveria del quale sentivo la mancanza. Indefinibile. Spesso incrocio di stili e correnti per la gioia di coloro che credono ancora nel metal come musica ustionante, libera, senza compromessi. Una band che può crescere, evolversi, perché non frenata dall'appartenenza ad un genere specificato dalle proprie limitazioni e forte dell'entusiasmo di chi non è ancora costretto a riciclare il proprio passato.
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