Nuovo lavoro per l’incantatrice del Wisconsin,
Jex Thoth, una delle voci femminili più affascinanti in ambito doom rock insieme a Uta Plotkin dei Witch Mountain. Questa volta la cantante ha scelto un profilo ancora più emozionale, puntando su temi lenti e talvolta perfino rarefatti insieme ad atmosfere ammalianti dal sapore psichedelico.
Qualcuno lo ha definito “lounge doom”, per sottolineare il fatto che il disco non possiede pulsazioni epidermiche ma in cambio sembra stimolare ancestrali ricordi sciamanici e magici. In brani come “The divide”, “Ehja”, “The four of us are dying”, veniamo trasportati all’interno di foreste incantate e spettrali, nel cerchio danzante di bellissime streghe, oppure scopriamo antiche leggende che parlano di presenze misteriose e sinistre.
I Jex Thoth creano immagini grazie ad un sound armonioso, dai tratti gentili, ma non dimenticano mai di rafforzarlo con la corrente doom/dark che tanto ci era piaciuta nel disco d’esordio. Adesso le vocals incrementano ulteriormente la loro centralità, così la singer può aprire la scaletta con un pezzo (“To bury”) costruito interamente sui suoi toni conturbanti e sensuali. E’ indubbio che dietro la natura sabbathiana delle melodie si nasconda una vibrazione sessuale, perché la leader del gruppo più che evocare mitologiche sirene pare una sacerdotessa di rituali naturalistici e visionari. Ma non dimentichiamo che a sostenere il tutto c’è un quartetto di bravi musicisti, in particolare la coppia di chitarristi in grado di creare solismi lirici e profondi di matrice psych-rock, vedi la stupenda dark-ballad “Psyar”.
Un disco che esula dai soliti canoni del doom rock contemporaneo, pieno di toni struggenti, malinconici, di ombre sfumate ed intensità lunare, che piacerà tantissimo a coloro che da questo filone non pretendono solo pesantezza e sonorità slabbrate.
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