Confesso di avere un debole per i Wicked Minds sin dai lontani tempi di “Return to Uranus” (1999), lavoro di grande spessore per quanto un po’rustico e non perfettamente rifinito. Purtroppo a seguito di quell’album si erano perse le tracce del gruppo piacentino, che pareva essersi dissolto tra le umide nebbie padane. Invece il quintetto ha soltanto preparato con molta calma un ritorno sulle scene che possiamo senza indugio definire straordinario, sotto il segno di quella Black Widow sempre più equivalente Italiana della Small Stone, cioè gente che non sbaglia un colpo.
“From the purple skies” assume le sembianze di un’enciclopedia dell’hard rock, una rassegna completa ed entusiasmante di tutto il sound compreso tra i Blue Cheer e gli Uriah Heep, passando per Deep Purple, Atomic Rooster, Hendrix, Mountain, e quanti altri si voglia aggiungere. Una finestra aperta sul tempo a consentire la vista panoramica di ciò che esprimeva il rock degli anni ’70. Le “good vibrations”, la travolgente carica elettrica, i magnifici colori psichedelici, le melodie rocciose ed appassionate, le cavalcate chitarristiche ancora impregnate di fumi acidi e calore blues, tutte cose che in questo disco scintillano abbaglianti e fresche come fossero nate oggi.
Solito panegirico per nostalgici e vecchie glorie? Manco per sogno, semplicemente un lavoro strepitoso che mette in ombra qualunque altra uscita dell’annata in merito di hard rock vero e classico.
Dalle folate solistiche conturbanti di Calegari alle magie dell’hammond di “Apollo” Negri, dal feeling “black” del Byron nostrano all’elasticità fantasiosa della navigata coppia ritmica, oltre settanta minuti di rock da brividi senza riempitivi, battute a vuoto, tutta sostanza e varietà frutto di classe ed esperienza indiscutibili. Un successo, sia che la band intraprenda strade fiammeggianti ed epidermiche (la Purple-iana title-track) sia che s’inoltri nei reami sognanti della jam spaziale (“Space child”), oppure rallenti fino ad atmosfere eteree ricche di sentimenti puri e cristallini (“The elephant stone”) o velate di oscuro mistero e pronte a librarsi in voli acrobatici e progressivi (“Across the sunrise”), o che addirittura rispolveri la tradizione mai abbastanza rimpianta della suite torrenziale ripescando la corazzata lisergica di “Return to Uranus” ed i suoi diciotto minuti di palpitanti orgasmi cerebrali, grazie ad un Calegari stratosferico, che molti gruppuscoli stoner-psych dovrebbero usare come manuale d’istruzioni per comprendere come si costruisce una trip-song veramente travolgente senza farla sembrare un brodo sonoro.
Non bastasse questo, per ammirare la bravura dei Wicked Minds si faccia attenzione alla loro interpretazione dei due brani altrui, scioltamente inglobati nel discorso stilistico quasi come proprie appendici, e parliamo di una “Forever my queen” dei Pentagram ma soprattutto dell’indimenticata “Gypsy” degli Uriah Heep, nome storico che ha senz’altro avuto notevole influenza sulla cultura musicale dei piacentini.
Non sono mai stato tenero con le formazioni di casa nostra, neppure ai gloriosi tempi della P.F.M., del Banco, del Balletto di Bronzo, degli Area, e meno che mai in seguito pur di fronte ai vari Vanadium, Fil di Ferro, Bulldozer, Extrema, ecc., ammetto senza problemi di essere un esterofilo, quindi è ancora più grande e convinto il mio stupore nel constatare quanto sia diventata ricca e qualitativa la nostra scena rock, perlomeno nei settori che seguo più da vicino. Ufomammut, That’s all Folks!, Ojm, Standarte, Malasangre, ma anche Thunderstorm, Malombra, Zess, The Black, e quanti altri potrei citarne a testimonianza di una crescita certamente non solo numerica, bensì di una profonda maturazione sotto ogni profilo che ha portato le nostre bands ad essere competitive a livello internazionale. Ancora una volta il discorso è riferito ad un ambito underground completamente alieno ai filoni commerciali e modaioli, ed in quest’ottica i Wicked Minds si pongono in posizione di assoluto prestigio con un album di rara bellezza, del quale io mi sono procurato sia la versione cd che la lussuosa edizione vinilica, cosa davvero molto rara per le mie abitudini.
Dopo tutti questi elogi, se non trovate “From the purple skies” nella mia lista di fine anno siete autorizzati a togliermi il saluto.
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