Pat Travers è inequivocabilmente uno dei grandi venerabili dell’
hard blues, artefice di una discografia smisurata, che dalla metà degli anni settanta fino ad oggi ha saputo garantire notevoli soddisfazioni agli appassionati del genere, alternando sapientemente energia e sentimento.
Accaparrarsi i suoi “servigi” rappresenta, dunque, una nota di merito da sottolineare con la matita rossa, e anche se ormai la Frontiers è diventata uno dei punti di riferimento del
rock internazionale (citata, grazie ai Player di Ronn Moss,
addirittura sulla rivista di
gossip preferita dalla mia mamma!), lasciatemi rilevare, con un pizzico di orgoglio patriottico, quest’ennesima conquista.
Arrivati a “Can do”, non si può che confermare la qualità della musica proposta dal chitarrista e cantante di Toronto (e londinese d’adozione), il suo stile compositivo allo stesso tempo viscerale e raffinato, pieno di melodie accattivanti e di
feeling, che elargisce a piene mani grazie alla sua fedele Gibson e a una voce che sembra fatta per queste cose.
Parlare di “innovazione” in questo contesto è praticamente impossibile, e non credo che sarebbe nemmeno particolarmente gradita dagli estimatori del settore, che non chiedono altro di appagare i loro sensi tramite i suoni “classici” eppure sempre coinvolgenti e passionali della scintillante
title-track, di “Stand up”, di “I'm with you”, di ”Long time gone” e ancora dell’intensa “Wanted (that was then, this is now)”, della scanzonata “Armed & dangerous” e della scalciante “Red neck boogie”.
A ben vedere, una piccola sorpresa, il disco la riserva … la
cover di “Here comes the rain” degli Eurythmics dimostra come un
hit di
synth-pop possa diventare, nelle mani di un maestro come Travers, un gioiellino di
soul-blues notturno e avvolgente, ostentando tutto il talento di un artista a suo modo anche “audace”.
Per tante ragioni rimango
fatalmente legato ai primi lavori del nostro (un titolo per tutti, quel “Makin’ magic” del 1977, realizzato con il contributo di Nicko McBrain … chissà che ricordarlo non possa stuzzicare l’attenzione di qualche inflessibile
Maiden-maniac …) e questo, oltre ad una vaga ombra di manierismo che aleggia sull’albo, non mi consente di considerare “Can do” un prodotto capace di “sconfiggere” un passato così appassionante, ma allo stesso tempo mi sento di consigliare questo nuovo
full-length sia ai fans storici di Pat Travers e sia agli eventuali novizi.
I primi ritroveranno il loro beniamino in ottime condizioni di forma, proseguire imperterrito nella sua nobile missione, mentre per i secondi il Cd costituisce un bel modo per incominciare a conoscere l’arte di questo straordinario “uomo di blues”.
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