Sadgiqacea (la cui pronuncia esatta è sad-juh-kay-sha ) è un duo di polistrumentisti proveniente da Philadelphia (Pennsylvania) e dopo aver già pubblicato un mini album più due split, danno finalmente alle stampe il loro primo full lenght. Chi ha avuto la fortuna di vederli dal vivo ne ha parlato con grande entusiasmo, vista l’intensità, il calore, il coinvolgimento e la fantasia schizoide che tracimava da ogni esibizione…Il sottoscritto non ha avuto questa fortuna però non stento a credere che il duo americano sia capace di tutto ciò, infatti
“False Prism” è un debut album davvero logorante e sudicio con una puzza di sudore tipica di locali malfamati dove ci si esibisce per pura passione e non certo per l’ingaggio della serata…Definire il sound della band potrebbe essere un’impresa ardua se volessimo cercare di catalogare le numerose influenze e condensarle nelle poche parole che costituiscono un’etichetta, ma se proprio vogliamo addentrarci in questa sfida possiamo dire che i Sadgiqacea suonano uno sludge-doom con influenze black, senza per questo dimenticare una certa predisposizione per atmosfere acide e dilatate. Avrete sicuramente capito che è molto difficile riuscire a descrivere a parole ciò che solo l’animo di due musicisti completamente aperti a qualsiasi influenza e assolutamente volenterosi di sperimentare, possa offrire. Da molte parti ho sentito parlare dei Sadgiqacea come di un gruppo fortemente influenzato dai
Baroness, specie quelli del debutto, sinceramente io ci ho sentito ben poco di tutto ciò, direi piuttosto che potremmo parlare di un incesto tra
Neurosis e
Isis senza dimenticare la spazialità degli
Ufomammut e la pachidermia pesantezza di un riffing abrasivo e viscerale sempre presente…Più semplicemente si potrebbe dire che siamo di fronte ad un piccolo gioiello di post-metal in salsa americana, e sono certo che ognuno di voi saprà trovare degli spunti più interessanti di altri nelle quattro songs che compongono l’album. Prendiamo l’opener
“False Segments” che con i suoi quasi 9 minuti di riffs circolari sembra veramente portarci in un vortice di disperazione che ci inghiotte, fino a farci rivedere la luce grazie a dei violini posti sul finire del pezzo che lentamente svaniscono nella successiva traccia. I violini sono certamente uno strumento inaspettato nel tessuto della band, ma dimostrano come il duo americano non si ponga nessun limite e si lasci guidare solo dall’ispirazione, peccato non aver sfruttato ancora di più questa intuizione perché magari si poteva andare ancora avanti per qualche minuto di puro godimento. Poco male perché la seguente
“False Cross” è un altro inesorabile passo verso l’oblio, tra l’alternarsi dei due dietro il microfono, riffs sludgy, ritmiche tribali e una straniante sensazione di funebre epicità. La title track, che curiosamente è anche il pezzo più corto dell’album, con i “soli” 7 minuti scarsi, è anche quello che non t’aspetti viste le parti black violentissime che impregnano il pezzo di luciferine atmosfere, salvo poi adagiarsi di nuovo su tempi mortiferi più consoni al gruppo. In chiusura troviamo i 15 minuti di
“True Darkness” summa precisa e preziosa di quanto potuto godere in precedenza con una corposità sonora a marchiare anche i momenti più “rilasati”… Album marcissimo e straniante, una boccata d’aria malsana e putrida, da consumarsi senza alcuna parsimonia ed ad altissimo volume!
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