La scelta di proporre un disco esclusivamente strumentale, soprattutto di questi tempi, può far presumere di dover affrontare una personalità o autolesionista o megalomane.
Il mercato è saturo, la tipologia espressiva, da qualsiasi prospettiva la si guardi (
metal,
prog,
ambient,
post-rock, …), sembra aver detto tutto o
quasi, e uno dei pochi
plausibili motivi per intraprendere questo impervio percorso è la volontà di dimostrare al mondo quanto si è abili con il proprio strumento.
Le eccezioni, quelle che da sempre confermano le regole (una faccenda che non ho mai capito, in realtà …), ci sono e
Lucio Manca è verosimilmente una di queste.
Già collaboratore di Charlie Dominici, il nostro non è né masochista né vanaglorioso, ma è un musicista preparato e sensibile che aveva la necessità impellente di raccontare una storia (probabilmente dai risvolti in qualche modo autobiografici …), tragica e struggente, quale inevitabilmente è la perdita prematura di un figlio per una madre, un’esperienza devastante da cui risollevarsi è davvero molto difficoltoso.
La ricerca della presenza dell'anima del proprio bimbo in una dimensione diversa dal piano fisico è il modo con cui la protagonista del
concept tenta di superare tale sofferenza, placandosi finalmente solo quando il segnale arriva, sotto forma di un anelato e rassicurante messaggio: “
mamma, sto bene”.
La vicenda, abbastanza semplice invero, coinvolge etica, religione, scienza, superstizione e filosofia, e lasciamo che sia il lettore ad eventualmente approfondire i termini morali della questione, affidandosi alle proprie convinzioni personali, mentre qui, una volta appurati gli impulsi artistici, interessa valutare gli aspetti musicali ed le implicazioni emozionali di “Everybody needs an angel”.
Diciamo subito che Lucio ed i suoi
pards dimostrano solidi mezzi tecnici e sagace misura nella loro ostentazione e aggiungiamo che l’amalgama tra tensione, inventiva, malinconia e passionalità è ben congegnato e godibile, in un quadro complessivo adeguatamente attrezzato per sollecitare i sensi sia degli estimatori dei Dream Theater, sia quelli di Tool e Porcupine Tree.
Rimane, però, sullo sfondo, un pizzico di delusione per un progetto molto ambizioso riuscito solo in parte, in cui il legame tra le premesse concettuali e la loro concretizzazione appare sfilacciato e confuso, in un “plot narrativo” incapace di trasmettere in forma compiuta e intellegibile i vari stati d’animo e le sensazioni previste dalla drammatica vicenda.
Ecco che la mancanza di una voce, in grado di fungere da
amplificatore empatico, in questo caso appare piuttosto evidente, riducendo, se così si può dire, l’intera questione ad un buon lavoro di (
post)
prog-metal, equilibrato e accessibile e tuttavia leggermente “freddo” e poco distinguibile dalla massa.
Lucio Manca è comunque una di quelle eccellenze italiane di cui andare fieri, un artista che grazie al talento e alla passione che possiede è
fatalmente destinato a crescere, con il nostro supporto e magari pure con la supervisione di un “angelo”, perché in fondo è vero, per chi ci crede completamente e anche per chi ci crede solo così e così, che un “aiutino”, da qualunque parte arrivi, è sempre bene accetto.