Che il contesto ambientale possa influire sul feeling compositivo di un artista o di una band è fatto assolutamente acclarato e pacifico. Gli esempi sarebbero molteplici, ma basti pensare alla scena grunge, sviluppatasi nell’uggiosa Seattle (città più piovosa di tutti gli States), o al black metal, le cui gelide atmosfere hanno tratto linfa dalle innevate foreste norvegesi. Così, quando mi è stato assegnato il compito di recensire l’esordio discografico degli
Ephemeros, non ho potuto fare a meno di collegare la loro proposta musicale al luogo da cui provengono.
Parliamo, in effetti, di una band dedita a una forma particolarmente ortodossa di funeral doom, le cui funeste litanie paiono assolutamente appropriate per una città come Portland. Per chi non lo sapesse, stiamo discettando di una (non troppo) ridente cittadina dell’Oregon che da anni si piazza ai primissimi posti nelle classifiche delle metropoli americane col più alto tasso di depressione e criminalità, nonché col maggior numero di suicidi, divorzi e giornate nuvolose all’anno (oltre 222 di media).
Insomma, un palmares non necessariamente invidiabile, ma che ha senz’altro fornito adeguato humus per l’ispirazione del nostro quintetto.
Gli Ephemeros (termine greco grosso modo traducibile con “per un giorno” o “che vive un giorno”, corrispondente al nostro “effimero”) ce la mettono davvero tutta per condurci in una dimensione di dolore impenetrabile, di buia sofferenza, di lutto imperituro… E ci riescono!
Il loro funeral doom, come anticipato, è assolutamente immacolato nella sua dolente purezza: non un’accelerazione, non una contaminazione con generi affini, non un momento di sollievo. Solo cupa rassegnazione si dipana lungo i tre brani (per un totale di oltre 40 minuti complessivi!) che compongono All Hail Corrosion. Gli ingredienti li conoscete: riff soffocanti, lyrics capaci di far sembrare Leopardi un ottimista, growling che pare promanare dalle viscere della terra e trame che si dipanano pian piano, avvolgendo l’ascoltatore in ottenebranti spire di malessere.
Individuerei nei Mournful Congregation e nei primi Ahab i principali riferimenti stilistici, ma per onestà intellettuale devo segnalare che gli elevatissimi picchi qualitativi dei succitati gruppi non vengono raggiunti dai pur bravi colleghi. Gli Ephemeros hanno qualità, e si destreggiano con perizia in un genere musicale tutt’altro che semplice; trovo, però, che un allineamento così pedissequo ai rigidi canoni del funeral tolga loro numerose opzioni compositive e di arrangiamento.
Per questo consiglio di insistere, in futuro, con le melodie di chitarra, appena accennate in Stillborn Workhorse (forse il miglior brano della ridotta tracklist); allo stesso modo, auspico un utilizzo più intensivo delle screaming vocals, davvero disperate e in grado di squarciare il muro del pachidermico sound; infine, caldeggio l’incremento delle parentesi soffuse e minimaliste (come nell’incipit della title track), in cui la desolazione prende ancor più il sopravvento.
Trattandosi dell’esordio discografico di una band ancora giovane (nonostante la passata militanza dei cinque membri in gruppi quali Nux Vomica, Graves At Sea, Elitist e Bastard Feast), mi ritengo comunque soddisfatto; per emergere davvero, tuttavia, credo servirà qualcosa in più.
In ogni caso, All Hail Corrosion è un buon dischetto, e merita certamente l’attenzione dei cultori del genere.
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