Barbe, criniere irsute, tatuaggi, cappellini da camionista, aria da truzzi in libera uscita, guardando la foto dei
Godsized non puoi sbagliarti: rednecks fino al midollo. Texani, Virginiani, o giù di lì. Fin troppo facile.
Peccato siano di Londra.
Come cambiano i tempi. Una volta questa gente girava con bombetta ed ombrello, adesso sembrano usciti da un puzzolente drugstore di Richmond. E fanno musica nello stesso modo. Non per niente il
tamarrissimo Zakk Wylde li ha voluti come guest band in uno degli ultimi tour europei. Infatti sono la versione meno metal dei Black Label Society e con questo si potrebbe anche chiudere la recensione.
Riffoni polverosi, basso potente, batteria rocciosa, voce pigra e calda, ma soprattutto un feeling melodico che più southern non si può. Ascoltate il singolo “Heavy load” ed avete un dignitoso mix di Black Crowes e Lynyrd Skynyrd, rock da praterie e notti stellate. Sono tutt’altro che pesanti i quattro britannici, preferiscono scrivere canzoni vibranti di quella malinconia che da sempre attutisce l’indole muscolare ed un poco sciovinista di questo stile, vedi la nostalgica “It’s a hanging”, l’acustica “One more time” e l’ispirata ballatona “Mother” (forse un po’ lunghetta..). Più che i Down citati nella bio, li trovo molto simili a bands come Brand New Sin, Raging Slab o ibridi come Shinedown e The Handful. Ovviamente ci sono anche i pezzi tosti e diretti, su tutti “Soul taker” e “The bounty hunter”, però una maggior dose di cattiveria non avrebbe guastato, perlomeno per i miei gusti.
Nell’insieme è un disco ben suonato, da amanti del genere, però sono convinto che i Godsized possono fare ancora meglio.
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