Strana ma allo stesso tempo “prevedibile” la carriera dei tedeschi
Deadlock , nati infatti nel 1997, giungono oggi al loro sesto studio album e la caratteristica “strana” sta nel fatto che incredibilmente i loro album vanno progressivamente a peggiorare…Il debut del 2002 era infatti un ottimo album di death metal melodico, ma non troppo, dove le chitarre e la voglia di sperimentazione la facevano da padrone al punto tale che tutt’oggi
“The Arrival” suona ancora molto fresco e godibile. La prevedibilità del loro lento ed ineluttabile peggioramento stava invece nei germi della loro musica, la voce femminile…Se infatti nei primi due album la voce di
Sabine Schrer era solo un orpello utilizzato per abbellire alcuni brani, a la maniera dei
Dark Tranquillity di
“The Gallery” , da
“Wolves” in poi (terzo album datato 2007) la nostra moretta ha cominciato a prendere sempre più spazio, relegando in secondo piano la voce roca del fondatore Johannes Prem e finendo inevitabilmente per condizionare anche il songwriting della band. Oggi ci troviamo di fronte al qui presente
“The Arsonist” e la frittata è fatta! Musicalmente parlando i
Deadlock sono passati dai quasi 8 minuti di
“For The New Prophets” del debut che si propagava tra death melodico vagamente progressivo ai 3’30” massimo 4’ standard dei pezzi che compongono questo “capolavoro”. Forse sarà per la dipartita del buon Johannes, ma i Deadlock di oggi non sono neanche lontani parenti di quelli che conoscevamo anni addietro. Il gruppo si barcamena tra un miscuglio di
Gojira/Dagoba e compagnia trendarola con vocals “celestiali” a la
Evanescence, veramente impossibile da sopportare per chi abbia a cuore la musica metal, perché? Semplicemente perché già le due bands citate hanno stroppiato, stuprato, svilito e banalizzato la lezione dei maestri Meshuggah, per riproporla in maniera più facilona sempre alla ricerca del coretto che gli potrebbe cambiare la vita, i Deadlock hanno fatto ancor di più piazzando una voce femminile pulita per l’80% dei brani e relegando la potenza del death a mero ricordo o forse incubo per i membri stessi. Quello che ne esce è un album vuoto, banale, e pieno di cliché che di più non si può. Chiariamoci, non ho niente contro le angeliche voci femminili, anzi uno dei migliori album di sempre come “Mandylion” dei The Gathering è segnato da una prestazione vocale (femminile) al limite dell’umano, con un’enfasi e una capacità interpretativa che non ha eguali, ma qui invece siamo agli antipodi. La nostra Sabine cerca di seguire le orme dell’ottima Liv Cristine versione solista, senza averne neanche lontanamente le capacità. Quello che ci resta sono solo brani insulsi come “I’m Gone” , “Dead City Sleepers” e “Hurt” , qualche piccolissimo bagliore come “As We Come Undone” che si segnala semplicemente come uno dei brani “meno peggio” dell’album. Arrivare alla fine di quest’album è stata per me una fatica immane appesantita ancor di più dalla fortuna di dovermi ascoltare la versione limited edition con due remix ad opera dei mitici Erode e Philip Abbas…Se avete più di quindici anni e vi piacerà questo disco cominciate seriamente a chiedervi se veramente amate il metal o magari non è il caso che vi dedichiate anima e corpo al pop…A mai più please!
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