Il mondo del
rock n’ roll, in fondo, non è troppo dissimile dall’enigmatico microcosmo nel quale è disciplinato il rapporto tra i sessi, guarda caso da sempre uno dei suoi “motori” principali.
Se nelle relazioni di coppia è inutile preoccuparsi di chi è arrivato prima di te ed è fondamentale, invece, prodigarsi per lasciare un proprio “segno” inequivocabile, possibilmente così rilevante da farti diventare quello che “resta”, anche nell’attuale situazione del panorama musicale internazionale, in cui tutto sembra stato già detto e fatto, la sfida vera consiste probabilmente nel tentare di aggiungere qualcosa di significativo e (in qualche modo) diverso e durevole a concetti già ampiamente sviscerati da qualcun altro.
Una “spericolata” parafrasi che diventa, poi, un’ideale introduzione per il primo disco dei
Roxin’ Palace, gruppo friulano che formalmente si allinea al diffuso
revival del “R n’ R di strada” (uno dei tanti, peraltro …), ostentando una nitida ammirazione per i “soliti” Motley Crue, Guns N’ Roses, Skid Row, Black ‘N Blue, ecc., senza dimenticare di riservare un occhio di riguardo ai loro più popolari epigoni (Crashdïet, Hardcore Superstar, Crazy Lixx, …).
Come appare, dunque, evidente, i nostri non sono certamente i “primi” nel (ri)proporre i dettami tipici del suono selvaggio e “oltraggioso” per eccellenza, eppure la loro innata istintività e la capacità di scrivere con disarmante disinvoltura brani che sanno essere granitici, accattivanti e passionali, riescono a distinguerli dalla “massa”, sfruttando l’arma invincibile della freschezza.
Un
guitar-sound spesso piuttosto “fisico” e denso, inoltre, contribuisce a rendere maggiormente incisiva e pure “moderna” una sceneggiatura artistica che raramente presenta cali di tensione o momenti di evidente debilitazione compositiva, all’interno un quadro “tecnico-vocazionale” parecchio consistente.
L’egregia prova di Axel Lessio, in un ruolo essenziale per la credibilità “stradaiola” dell’intera questione, fornisce il giusto apporto di graffio seduttivo ad un programma che irrompe nei sensi dell’astante con l’esperimento di proto
street-thrash (Motley Crue
meets Megadeth …) dell’invitante (“
Welcome to the power, to the Rock Sin Palace!”)
opener, lo lusinga con le irresistibili pulsazioni
melodico-anthemiche di “Wildest party” e lo trascina nel gorgo della “dipendenza” (sonora,
eh …) con l’enfasi e il
groove di “Relaxin' shok 108”.
“We are loosing both”, realizzata con il fattivo contributo di Davide “Damna” Moras (Elvenking, Hell In The Club) è un’altra circostanza (av)vincente del disco, tra frenesie
funky, nerbo
hard-rock e
chic-erie varie (da suggestioni “adulte” alla maniera di certi Mr. Big, fino a vaghe reminiscenze di marca The Who …), mentre tocca a “Viper's advice” riportare il poderoso convoglio sui binari di un maggiore pragmatismo, pur conservando raffinatezza e affabilità.
Chi, a questo punto, desiderava una bella ballata, è accontentato dalla crepuscolare “Gothic L.A.”, che condensa al suo interno addirittura flebili scorie Alice In Chains-
iane, a cui sarebbe magari stato utile far seguire una massiccia “botta” d’adrenalina, che viceversa arriva smorzata a causa di “Empty virus”, riuscita solo a metà, nonostante l’interessante costruzione armonica.
Molto meglio la successiva “Collapsin' park”, fulgido esempio di adescante e morboso
street-metal per il terzo millennio, preludio ad una deboluccia “Modern middle ages” (ospite stavolta Demian Von Dunkelwald,
frontman degli Overunit Machine), avente intenti analoghi ed effetti meno focalizzati, e a una graziosa “Tears on the road”, la quale chiude l’albo con una piacevole atmosfera “vagabonda”, un
refrain da
empireo dell’
hair-metal e una struttura complessiva leggermente troppo farraginosa per ambire risolutamente a tale luogo privilegiato.
Qualche sporadica ingenuità e talune sfocature “da debutto” non sviliscono oltremodo il valore dei Roxin’ Palace, una formazione talmente creativa e vitale da essere giudicata
armed & ready nella convulsa competizione contemporanea … destinati (con un po’ d’indispensabile fortuna e piccoli correttivi …) a “restare”, insomma … anche nella febbrile “promiscuità” musicale tipica dei nostri tempi.