Debutto a dir poco interessante quello dei
Secrets of the Sky, band di Oakland saggiamente messa sotto contratto dalla nostrana
Kolony Records. Il loro
To Sail Black Waters si compone di soli quattro brani, che tuttavia sforano i 41 minuti complessivi, ed è riuscito a conquistarmi grazie alla sua originalità e alla perizia con cui è stato composto e arrangiato. Trattandosi di band alle prime armi, stupisce il tasso di maturità dimostrato, così come la cura maniacale per i dettagli.
“Bella forza!” potrebbe controbattere qualcuno di voi, dal momento che i sei musicisti a stelle e strisce si sono trincerati per ben otto (!) mesi nei
Trident Studios di
Juan Urteaga, rinomato producer che può vantare collaborazioni, ex pluribus, con
Machine Head e
Testament.
Insomma, si può senz’altro sostenere che i nostri abbiano avuto tempo e modo per affinare le composizioni, potendo contare su risorse che la stragrande maggioranza delle band esordienti si sogna. Ma quel che importa, al di là delle premesse, è il risultato finale, e io trovo che sotto tale profilo ci si possa dichiarare ampiamente soddisfatti.
Inquadrare la proposta del gruppo non è facile, poiché molteplici sono le influenze rinvenibili fra i solchi del disco: di base, abbiamo a che fare con una band di progressive doom atmosferico, che attinge altresì dal calderone del death melodico e da quello del black, così come si possono udire qua e là le dissonanti digressioni tipiche di bands come gli Isis. Il tutto suona coeso e omogeneo grazie al feeling delle composizioni che, come la bella copertina suggerisce, spingono incessantemente l’ascoltatore nelle più buie profondità degli abissi marini. I
Secrets of the Sky infatti riescono, grazie a soluzioni soffocanti e solenni al tempo stesso, a farci provare il senso di angoscioso ottenebramento proprio di chi si trovi senz’aria e senza luce, sconfitto dalle gelide acque oceaniche.
Importante rimarcare, a questo punto, come simile risultato venga raggiunto in modo sottile, deliberato, con un certosino dosaggio di fasi acustiche, riff lenti quanto malevoli e parentesi atmosferiche. Insomma, il combo americano ha lavorato sodo anche in sede di songwriting, e lo sforzo è stato ripagato.
Sarà necessario, tuttavia, pazientare qualche ascolto per decriptare appieno le complesse canzoni, che difficilmente scelgono lo scontro frontale ma che più facilmente optano per un approccio meditabondo, erratico, ad una prima analisi anche dispersivo. Già a partire dal terzo/quarto passaggio del cd sul lettore, tuttavia, vi accorgerete che i continui cambi hanno un senso ben preciso, e rendono l’esperienza uditiva sempre stimolante.
Senza dubbio lodevole la prestazione dei musicisti coinvolti; spendo una parola in più per il singer
Garret Gazay, che spazia senza apparente affanno dal growling più cavernoso allo screaming, dalle clean vocals (che mi hanno ricordato quelle di
Ed Gibbs degli ottimi
Devil Sold His Soul) alle parti giocate su registri bassi(ssimi) alla
Pete Steele… Complimenti.
Visto che i pezzi presenti in tracklist, come già specificato, sono solo quattro, non si sta certo discutendo di un’impresa titanica, ma è comunque mia ferma intenzione quella di assegnare la palma di miglior brano a
Decline, mastodontico tour de force (13 minuti) che racchiude al suo interno tutte le caratteristiche vincenti di questo album.
Giovani e di belle speranze, i
Secrets of The Sky hanno quindi le qualità che servono per emergere... al contrario della bambina immortalata nell’artwork: quella, temo, difficilmente ce la farà.
Perdonate la battuta macabra (e brutta) e concentratevi su aspetti meno faceti:
To Sail Black Waters è un esordio impressionante, che non mancherà di deliziare gli amanti del doom più cerebrale ed eclettico e che dimostra come una band californiana possa trattare di temi marittimi in modo tutt'altro che spensierato.