La paura di trovarsi di fronte a un disco di scarso valore c’era tutta ed era anche fondata, perché dopo tre album uno più bello dell’altro, tutti diversi ma allo stesso tempo perfettamente legati fra loro, un calo di tensione era nell’aria.
E invece cosa fanno gli Alter Bridge? Sgretolano tutte le certezze con un disco che nessuno si aspettava. Un disco che ritrova la muta potenza ermetica di
Blackbird, la freschezza di
One Day Remains e perde i tratti più commerciali di
ABIII, riuscendo nella non facile impresa, pur suonando Alter Bridge dalla prima all’ultima nota, di mostrarci l’ennesima faccia di questo incredibile gruppo.
Fortress ci offre pezzi decisamente eterogenei. Si va dalla velocità controllata del singolo
Addicted To Pain e di
Cry A River, all’alternative carico di melodia dell’opener, di
Peace Is Broken, di
Waters Rising e di
Farther Than The Sun. Le ballad sono intense, sofferte, senza troppo spazio per le frivolezze:
Lover, in particolare, è la più oscura, mentre
All Ends Well è più canonica ma veramente centrata.
Sono due però le canzoni che aiutano meglio a riflettere sulla bellezza di questo disco e sullo stile inconfondibile di questa band. La prima è
Calm The Fire, che qualcuno accosterebbe ai Muse. Un accostamento che io respingo con forza, perché qui dentro c’è tanto di quel pathos e di quella classe in più che i Muse in confronto appaiono uno scarso gruppetto di provincia. Ed è sufficiente sentirsi il pre-chorus per accorgersene. Il secondo capolavoro è la title-track, che chiude alla grande l’intero album. La migliore di tutte, che richiama in quanto ad attitudine e contenuto quella Blackbird ancora però inarrivabile.
In mezzo a tutto questo ben di dio, certo, non mancano un paio di filler, ossia quelle
Bleed It Dry e
The Uninvited sicuramente melodiche, sicuramente non brutte ma che già dal secondo/terzo ascolto iniziano ad annoiare.
Kennedy offre la consueta prova sopra le righe, su cui in molti avranno da ridire. Sicuramente, però, saranno esattamente gli stessi che mai hanno digerito l’inconfondibile voce del singer statunitense. Perché chi lo ha sempre apprezzato non potrà che godere a pieno delle iperboli vocali che anche questa volta caratterizzano spesso e volentieri i brani. Anche
Tremonti appare decisamente ispirato: decisissimo nel picchiare duro coi riff ma altrettanto deciso a snocciolare assoli di notevole impatto melodico.
Insomma, la verità è che siamo a quattro gol su quattro tiri.
Non ci sono le grandi hit di ABIII e servono diversi ascolti per entrare nel mood necessario a ricongiungersi con un qualcosa di molto più vicino agli esordi della band. Ma quando la cortina di fumo svanisce e Fortress viene messo a fuoco, credetemi, scalda il cuore.
La miglior cosa capitata al mondo del rock negli ultimi anni, dunque, si conferma all’altezza di tale definizione: bentornati Alter Bridge.