Copertina 7

Info

Anno di uscita:2004
Durata:60 min.
Etichetta:Frontiers
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. GOTTA MOVE NOW
  2. HANG ’EM HIGH
  3. CROWN OF MOSCOW
  4. TIME TO REALIGN
  5. SILHOUETTE PAINTINGS
  6. WITH THE SUN IN MIND
  7. KING OF NOTHING
  8. BORROWED TIME
  9. CONNECTING PAIN
  10. WATCH THE DRAGON FLY
  11. INHALING THE SILENCE

Line up

  • Lenny Wolf: all instruments and vocals
  • Eric Foerster: guitar solos

Voto medio utenti

I Kingdom Come hanno sempre diviso la stampa specializzata in maniera abbastanza netta, senza “mezze misure”, fin dal loro spettacolare, almeno per me, debutto autointitolato del 1988 (una delle migliori “interrogazioni” sulla materia Led Zeppelin che sia mai stata realizzata): da una parte quelli che adoravano la loro proposta, dall’altra coloro che li consideravano degli sterili plagiari.
La band, scoperta dall’ex Gentle Giant Derek Shulman, riconvertitosi nel ruolo di valente talent scout per la Polygram, dopo l’esperienza come musicista nel geniale act progressivo attivo negli anni ’70, evidenzia, infatti, un’innegabile devozione nei confronti del sound leggendario del Dirigibile più amato del rock, ma lo fa con una competenza ed un’eleganza che vanno oltre la “semplice” imitazione, con il grandissimo singer d’origine tedesca Lenny Wolf (ex Stone Fury) ad emulare i registri vocali del mitico Robert Plant, apparendo animato dallo stesso spirito che “infuocava” il vocalist britannico nei suoi momenti migliori.
Il pubblico li amò immediatamente (il brano “Get it on” divenne un vero hit radiofonico prima ancora dell’uscita del disco), decretando il successo commerciale della band, che invece ricevette un trattamento decisamente “poco benevolo” da parte di molti addetti ai lavori e fu sottoposto ad un “accanimento” da parte dei propri colleghi abbastanza inusuale (Plant si scagliò apertamente, senza la consueta ironia, contro il gruppo, senza dimenticare l'"affezionata" dedica di “Led clones” a firma Gary Moore e Ozzy Osbourne …), probabilmente anche a causa di una sorta di malcelata invidia nei loro confronti.
Con il secondo “In your face”, la band tentò di percorrere anche nuove strade, pur mantenendo salde le sue fonti ispirative fondamentali e lo stesso si può dire per il piacevole “Hands of time” del ’91 … poi la rescissione del contratto con la Polygram ed alcuni altri dischi dai risultati altalenanti, fino alla pubblicazione di “Independent” del 2002 e di questo “Perpetual”, fresco di stampa per la nostrana Frontiers.
I Kingdom Come, nel corso degli anni sono progressivamente diventati una sorta di “regno” assoluto di Mr. Lenny Wolf, il quale, infatti, in questa nuova release, canta, suona tutti gli strumenti e si occupa (con capacità) anche della produzione, avvalendosi solamente della collaborazione di Eric Foerster ad occuparsi della chitarra solista.
Diciamo subito che la voce di Wolf appare, sin dalle prime note del disco, in una forma veramente eccellente e che il “fantasma” del Mito Led Zep, pur aggirandosi anche tra i “solchi” di “Perpetual”, è accompagnato da suoni di heavy più cadenzato, da sonorità maggiormente moderne e da vibrazioni “dark”, il tutto inserito in una struttura base dove è sempre la melodia a svolgere un ruolo da protagonista.
“Gotta move now” apre l’album in modo pregevole: i suoni elettronici sfociano in una traccia dall’andamento maestoso, con la caratteristica timbrica di Wolf a farla da padrona, mentre la successiva “Hang ‘em high” è un’ottima heavy track dal bel “riffone”, finale dagli influssi più moderni e una prestazione vocale emozionale.
“Crown of Moscow” è una bellissima rock-song, molto melodica ed intensa e sulla stessa linea si pone anche la splendida “Silhouette paintings” drammatica e commovente con Lenny a modulare con sapienza le proprie favolose corde vocali e un bel guitar solo conclusivo.
In “With the sun in mind” ritorna l’hard rock in tempo medio dalle aperture melodiche, mentre “King of nothing” è un interessante brano lento ed atmosferico che si segnala per il flavour particolare che discreti effetti elettronici e singolare sound chitarristico riescono a creare in combinazione alla voce.
Buone, pur nella loro semplicità hard rock anche “Borrowed time”, con la sua intrigante linea armonica e la successiva “Connecting pain”, forse leggermente meno efficace ma sempre abbastanza gradevole.
Da menzionare anche “Watch the dragon fly”, dalla particolare costruzione musicale “effettata” e avvolgente, break di chitarra vigorosi e richiami al rock “tecnologico”; una traccia che necessita di alcuni ascolti per essere apprezzata completamente.
Chiusura riservata all’intimista ballad acustica “Inhaling the silence” e ad una “ghost track” (che dovrebbe intitolarsi “Free bird”) anonima, non solo per il fatto di non vederne dichiarato il titolo nella track-list.
Alla fine come valutare “Perpetual”?
Il giudizio è complessivamente ampiamente positivo, anche se l’eccessiva uniformità e un pizzico di staticità nelle composizioni rendono l’ascolto, nella totalità dei 60 minuti di durata del cd, leggermente “faticoso”, mentre piace, e molto, la propensione del nostro Lenny a “guardare avanti”, ad aggiornare il proprio suono; non sempre il risultato è perfettamente lucido e “mirato”, ma l’attitudine, in generale, è sicuramente da apprezzare … e poi, non si può dimenticare la sua strepitosa ed espressiva laringe pregna di pathos interpretativo e di feeling.
I Kingdom Come dovrebbero intraprendere un tour come headliner durante l’autunno … non ci resta che sperare che la nostra italietta sia inclusa nel programma … non sarebbe male ascoltare live alcuni dei brani di questo disco accanto a “Living out of touch”, “Pushin’ hard”, “What love can be” o “Loving you” …
Recensione a cura di Marco Aimasso

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 22 ott 2020 alle 16:11

Concordo sulla recensione dell'album. Per essere frutto dello sforzo di un solo uomo, fondamentalmente, mi pare anche troppo. E tuttavia ne è anche il limite: se vi fosse stata dietro una band di gente con gli attributi, un lavoro già pregevole come questo sarebbe divenuto ancor più elevato. E tuttavia, a me non è che piace: strapiace. Ne facessero più spesso di album così. Quanto alla parte della recensione in cui si menziona il passato e le tante critiche, ad oggi secondo me rimane vero e incontrovertibile un solo fatto: il successo commerciale di massa ha riguardato principlamente il brano Get it on, che è davvero vergognosa e indifendibile. Cioè, è un gran bel brano, ma è fottut.....e identica a Kashmir! E' davvero inascoltabile, e ovviamente tutti coloro che l'hanno ascoltata, tra cui Ozzy e Moore, saranno rimasti di stucco, ancora di più notando il successo conseguitone. Di lì presumibilmente il moto di rabbia. Ma - c'è un grosso MA - al netto di quel brano e di qualche minima ammiccata di troppo, tutto il resto della loro produzione (il 98% pressappoco) non ha nulla che meriti di essere criticato, semmai il contrario. Rimane tutt'oggi una di quelle band che andrebbero riscoperte e ri-valorizzate. Se il revisionismo è spesso una porcheria di movimento, in questo caso avrebbe una sua legittimità d'esistere.

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