Tornare sul mercato dopo 12 anni di assenza e non deludere le alte aspettative create da una carriera fatta di album in continua evoluzione inattaccabili sotto ogni aspetto, non era cosa semplice. Ma i canadesi
Gorguts hanno centrato in pieno il bersaglio andando a saziare la fame di death metal cresciuta in questo lasso di tempo nei loro fedeli supporters.
Parti atmosferiche, accelerazioni, echi di chitarre arpeggiate, controtempi, voci filtrate e squarci di irruenza ferale, ma con un occhio di riguardo all'orecchiabilità.
E da qui voglio partire, perché quello che scopriremo andando avanti con l'ascolto di
Colored Sands non è una furia cieca o scriteriata, tanto più se si considera la mostruosa abilità strumentale dei componenti. Le canzoni non sono fatte con una forma ma sono amorfiche, continuamente malleate mantenendo però un qualcosa che le lega dandole un senso compiuto. Ci sono continui cambi di atmosfera e di umore all'interno dello stesso brano, visioni apocalittiche sconfortanti, senso di impotenza e solitudine e a tratti rabbia, tanta rabbia che sfocia dalle urla di
Luc Lemay che si è progressivamente allontanato dal growl di inizio carriera (molto simile a quello del divino
Chuck) in favore di uno stile più personale e vario. A proposito di abilità strumentale, vale la pena menzionare i compagni di viaggio di
Lemay, musicisti che contribuiscono a creare questo nuovo capitolo discografico. Dietro le pelli siede
John Longstreth (
Origin), del basso se ne occupa
Colin Marston (
Behold The Arctopus, Dysrhythmia, Krallice) infine
Kevin Hufnagel (
Dysrhythmia, Vaura) come seconda chitarra. Gente con le palle quadrate.
Non abbiamo però di fronte freddi esecutori di partiture complicate, ma menestrelli dell'apocalisse in stato malinconico che cantano le gesta di un mondo morente.
Di immediato questo album ha poco, ad un primo ascolto si rimane infatti attoniti dovendo fronteggiare quello che i
Gorguts ci mettono davanti per poi imparare ad affrontare e capire il loro linguaggio e rimanerne così prigionieri.
Possiamo parlare di death metal progressivo, malinconico, tecnico ma emozionale? Possiamo dire che ricordano un po' gli
Opeth del periodo
Still Life e gli ultimi
Ulcerate (anche loro in uscita con un altro ottimo disco)? Possiamo.
Solo briciole sono rimaste di lavori stupendi come
Considered Dead e
The Erosion of Sanity, in cui i canadesi ad inizio anni '90 miscelavano con gran classe il death metal primigenio, le cui coordinate erano da ricercare in formazioni come
Death,
Deicide e
Malevolent Creation. Se cercate questo, non lo troverete in
Colored Sands. Nella carriera dei
Gorguts ha poi preso il sopravvento la personalità, e da lì è cominciata l'evoluzione musicale che li ha portati prima all'immenso
Obscura, al buono
From Wisdom to Hate ed oggi a questo
Colored Sands, che non è forse a quei livelli, ma che sposta ulteriormente le coordinate del loro suono.
Se sia questo l'album che li faccia uscire dallo status di cult band, o comunque di gruppo formidabile ma formidabilmente sottovalutato non lo so, so solo che sarebbe davvero criminale ignorarne l'esistenza.