Tendenzialmente, non credo a nulla di anche solo vagamente irrazionale o irragionevole: Dio, Satana, Chewbacca e il Mostro di Loch Ness per me pari sono (anche se Satana e Chewbacca mi suscitano maggior simpatia degli altri nominati, con tutto il rispetto per il Mostro di Loch Ness). Allo stesso modo, ho sempre accolto con un sorriso le suggestive teorie concernenti UFO, miracoli, sedute spiritiche e… leggende metropolitane sul mondo del rock. Alla tesi secondo cui il
Paul McCartney che tutti conosciamo sia in realtà un sosia dell’originale, morto nella notte del 9 novembre 1966 in un incidente stradale, non ho mai concesso troppa attendibilità, né l'ho fatto per le farneticazioni di chi sostiene di aver avvistato superstar purtroppo trapassate del calibro di
Michael Jackson e
Jim Morrison comodamente spaparanzate sotto il sole di un’isola deserta, o imboscate in qualche località asiatica o africana.
Eppure, nell’attimo in cui ho udito la voce di
Tanya, cantante degli sconosciuti
Universe217, squarciare la coltre di silenzio, sono rimasto folgorato da una bizzarra sensazione. Mi è sembrato, per una frazione di secondo, che l’indimenticabile
Janis Joplin non fosse mai morta, si fosse stufata di oziare in un atollo sperduto chissà dove, e avesse deciso di fondare una doom metal band!
Non vorrei apparire blasfemo evocando una delle più grandi (se non LA più grande) interpreti femminili della storia del rock, eppure vi assicuro che l’accostamento è meno irriguardoso di quanto potrebbe sembrare: la timbrica roca con una nota di blues nel vibrato, la potenza vocale impressionante abbinata a eccelse capacità interpretative, che le permettono di far venire i brividi con vocalizzi rabbiosi e strazianti per poi, un attimo dopo, strappare il cuore con lamenti raccolti e rassegnati, rendono
Tanya uno dei segreti meglio conservati del metal.
Mi ha davvero sorpreso, in tal senso, che questo
Never non sia un debut, bensì il terzo full length di un complesso fondato nel 2005. Quindi o costoro sono sfuggiti solo al sottoscritto, o i precedenti lavori facevano pena, oppure i quattro ellenici hanno raccolto molto meno di quanto seminato. Per fugare i dubbi in merito andrò senza dubbio a recuperare i primi due album (
Universe217 del 2007 e
Familiar Places del 2011), ma nel frattempo credo proprio che continuerò ad ascoltarmi l’ultimo nato, che tanto ha da offrire oltre alla voce ultraterrena della bionda cantante.
È innegabile che il sound del gruppo si fondi e si sviluppi sui suoi vocalizzi (lo stesso mixing, peraltro molto buono, lo dimostra chiaramente), ma con ciò non s’intende sottostimare il lavoro degli altri membri della band, che interpretano con classe e personalità un doom davvero particolare. Potrei spendere il nome dei bravissimi
Mar de Grises, ma prendetela più come un’indicazione di massima che come un paragone accurato. Fra i solchi dell’album rinverrete altresì elementi che rimandano ai padri fondatori del genere, eppure le sonorità non risultano forzatamente retrò o vintage, bensì affermano con fierezza una identità originale.
Tutto ciò lo si può evincere senza patemi dalla semplice analisi dei brani, che si sviluppano ariosi e liberi da costrizioni compositive, pur mantenendo un feeling davvero depressivo e colmo di amarezza; così, passiamo agilmente dal doom puro dell’opener
Mouth e di
Stay alle inflessioni seventies di
Enter e
She, dai sapori orientali di
Mark My Word e
Harm alle livide atmosfere della titletrack.
Piccola curiosità: a parte la succitata
Mark My Word, tutti i titoli dei pezzi sono composti da un’unica parola. Non conta assolutamente nulla, ma ci tenevo a comunicarvelo.
Il risultato complessivo, comunque sia, è davvero impressionante, e dimostra una volta ancora quanto sia fitto il sottobosco di giovani gruppi metal, tanto ignoti quanto talentuosi, che faticano a imporsi in un mercato assurdo nonostante doti ben superiori alla media.
Bando alle recriminazioni: nell’attesa che anche il Re
Elvis si decida a rompere gli indugi e a prestare la sua inconfondibile voce (e la sua mossa pelvica, ovviamente!) a un progetto viking death, godiamoci questo piccolo gioiello underground.
Cavolate a parte: per quanto mi riguarda una delle sorprese più liete di questo 2013, senza ombra di dubbio.