Nella vita bisogna avere fortuna, e su questo non ci piove, ma che c’entra con i Cleric? Beh, semplicemente provate a pensare se l’esordio di questi Texani provenienti da Dallas fosse finito nelle orecchie “aristocratiche” di qualcuno dei nuovi criticoni tutti avant-post-influence e bla bla invece che nelle orecchie disastrate del sottoscritto…un obbrobrio di album, immobilismo, dinosauri e quanto di peggio si sarebbe abbattuto su di loro…invece come per magia alla fine della mia personale recensione ecco fare bella mostra un voto ampiamente sufficiente che sarebbe stato ancora più alto se la band ci avesse regalato ancora qualche minuto di distruzione in più. Si ma cosa suonano? Semplicemente old school death metal che pesca a piene mani dalla storica e gloriosa tradizione Swedish death metal (
Entombed e
Dismember su tutti) senza dimenticare delle capatine oltreoceano per essere ancora più rozzi e regalarci sette perle di assoluta ignoranza sonora. La band nata per volere di membri dei
Kill The Client ,
Baring Teeth e
Tyrannosorceress , ha un gusto spiccato per la distruzione, accentuato ancor di più da un vocione profondo e cavernoso. I Cleric, hanno altresì la non comune caratteristica di essere sempre “eleganti” e controllati, non cadendo mai nella facile tentazione di lasciarsi andare alla confusione gratuita con la scusa di essere brutali. Prendete
“From Womb To Womb” e ditemi se non sembra di assistere ad una corsa folle a duemila allora di un treno impazzito che distrugge tutto quanto trova sul suo passaggio. La bravura del gruppo texano, come detto, sta però nel non deragliare mai, o quasi, in questa loro furiosa corsa verso la fine del mondo. Per non dimenticare di essere una old school death metal band in
“Into Death And Far Beyond” , i nostri texani piazzano dei solos dissonanti, e questa volta si caotici, come nella più pura tradizione americana, e questa resta l’unica concessione al rumore più propriamente detto, mentre per il resto assistiamo ad un chirurgico annichilimento dei padiglioni auricolari. Ottime anche
“Left Hand Wrath” che, a parte una somiglianza nel titolo, non ha molto altro in comune con una “mano sinistra” più famosa, ma comunque dall’intro sinistro in poi è un lento sanguinamento continuo che non può che rallegrare i più truci tra noi. Menzione speciale per la conclusiva
“Faith In Debauchery” e per la title track, manifesti sonori e concettuali di una band capace di attirare l’attenzione degli amanti del vero estremismo sonoro. Da Stoccolma a Dallas, né melodie, né stucchevoli e inutili virtuosismi, solo pure old school (bleeding) death metal.
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