I
Broken Hope sono sempre stati, per certi versi, una band atipica nel panorama death metal americano di inizio anni ’90. Provenienti da Chicago, alla periferia del fenomeno, che si divideva tra la Florida e la città di New York, pure musicalmente erano un ibrido, essendo tra i primi movers del filone brutale, che all’epoca era tutto basato sui primi due dischi dei
Cannibal Corpse e sull’esordio dei
Suffocation, uscito un mese prima di questo “
Swamped In Gore”, con la particolarità che i
Broken Hope erano ancora molto legati alle radici thrash metal, con chiari rimandi a “
Scream Bloody Gore” dei
Death o agli
Obituary, epperò con delle liriche che in quanto ad elementi splatter e gore sorpassavano a destra, sverniciandole, tutte le band uscite in quel periodo, frutto dei deliri post-adolescenziali del chitarrista e fondatore della band
Jeremy Wagner.
Inoltre erano in decisa controtendenza rispetto alle altre band della seconda ondata delle death metal, bands come
Immolation e
Malevolent Creation che facevano della tecnica e della velocità il loro punto di forza, preferendo i
Broken Hope un approccio più groovy e cadenzato.
Un’altra curiosità su questo disco è che è stato in assoluto il primo disco death metal ad essere stato registrato completamente in digitale.
Insomma, vuoi o non vuoi, sia come sia, “
Swamped In Gore” pur non essendo un disco eccelso, è stato un disco seminale, frutto di un manipolo di ragazzi poco più che ventenni (alcuni nemmeno) che, folgorati sulla via del death metal, danno alle stampe un disco grezzo, con una produzione non eccelsa, nemmeno suonato in maniera impeccabile, che però vanta un fascino primordiale che già dall’iniziale urlo di “
Incinerated” ci introduce pienamente a quello che sarà tutto il filone del brutal death metal e del goregrind che verrà.
Nel suo essere lineare, il sound di “
Swamped in Gore” è tuttavia vario, con una prima parte più giocata su mid-tempos e breakdown spezzaossa, come nel caso della title-track o di “
Bag Full Of Parts”, e una seconda parte dove le accelerazioni si fanno sempre più corpose, con pezzi come “
Gorehog” e “
Gobbling The Guts” i quali mostrano che quando vuole la band sa fare dannatamente sul serio, con una menzione particolare per la brutalissima e sgraziata voce del singer
Joe Ptacek, che nulla aveva da invidiare alle voci più potenti dell’epoca, e parlo di
Chris Barnes o
Frankie Mullen.
“
Swamped In Gore”, come dicevo, è un disco a modo suo seminale, affascinante con le sue imperfezioni, il suo essere un disco non ancora maturo e molto rozzo, e che però vedrà, negli anni successivi, la band crescere, anche questo in controtendenza rispetto alle band dell’epoca, tutte autrici di debutti memorabili ma incapaci di mantenere lo stesso livello qualitativo nel corso degli anni.
Peccato che della formazione iniziale siano deceduti i due quinti, con
Joe Ptacek suicida nel 2010 e il batterista
Ryan Stanek morto di infarto nel 2015. Ma anche questo è death metal.
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