Death Angel… probabilmente una delle band più sottovalutate di quel panorama metal che ebbe origine a
San Francisco negli anni ’80, e che creò il filone oggi noto come
Bay Area Thrash, a cui appartengono band riconosciute come mostri sacri del genere, come ad esempio
Metallica,
Megadeth,
Testament, e, appunto,
Death Angel.
Dopo due uscite indipendenti (
“The Ultra-violence” e
“Frolic through the park”), catturarono l’attenzione della
Geffen, con la quale registrarono
“Act III”, splendido esempio di thrash metal moderno (ricordo che correva l’anno 1990, ovvero ben due decenni fa) e decisamente maturo nonostante un’età media della band bassissima. Con
“Act III” arrivò anche lo split, deciso dopo un incidente in cui il drummer
Andy Galeon rimase seriamente infortunato, ed ad una serie di eventi concomitanti.
Passano dieci anni ed è tempo di reunion (al
Thrash of the Titans), mentre bisogna aspettare ancora 3 anni per vedere sugli scaffali una nuova uscita: è il 2004 e l’album è
“The art of dying”, un buon comeback, accolto positivamente sia da pubblico che addetti ai lavori (seppur con qualche critica). Seguono quindi
“Killing season” (2008) e
“Relentless devolution” (2010), e si arriva quindi a quest’ultimo
“The dream calls for blood”, registrato nuovamente agli Audio Hammer Studios con la produzione di
Jason Suecof (
The Black Dahlia Murder,
Trivium), album che decisamente pesta sull’acceleratore, come appunto dichiara
Cavestany:
"absolutely darker than the last album, it’s darker, and at the same time more brutal, heavier, more evil-sounding, if that’s a description of music. And I think somehow it is. And although the songs are shorter than on the last album, this record still seems to be more epic-sounding, if that makes sense...”Una intro acustica sinistra si trasforma in un riff tagliente, e subito ci si tuffa in
“Left for dead”, song veloce, cattiva, thrash fino al midollo; ed ecco la ricetta di
“The dream calls for blood”, un lavoro incredibile delle chitarre di
Cavestany e
Aguilar, la voce particolare di
Mark Osegueda, un tappeto ritmico incessante (devastante il drumming di
Carroll) ed una certa dose di melodia, sia in termini vocali che musicali (ovviamente prendete il termine “melodico” con le dovute pinze, si tratta sempre di un album thrash-inside!).
E si prosegue così dal primo all’ultimo minuto, quarantasette minuti di puro thrash metal, senza soluzione di continuità, se non per qualche breve arpeggio introduttivo (
“Execution / Don’t save me” e
“Territorial Instinct / Bloodlust”, con quest’ultima che si contraddistingue per discostarsi dall’intera tracklist con il suo mid-tempo). Gli episodi migliori sono la già citata opener
“Left for dead”,
“Fallen”,
“Don’t save me”, tutte caratterizzate da ottimi riff e da una prestazione maiuscola di
Osegueda.
“The dream calls for blood” è una grande uscita per gli amanti del thrash americano puro, tecnico e mai fine a se stesso, che riparte dove
“Relentless revolution” si era concluso, potendo però contare su una line up assodata: a giovarne è senza dubbio la struttura delle songs, dove infatti si percepisce che i meccanismi sono ben oliati e i vari strumenti (e voce) si intrecciano alla perfezione.
“The dream calls for blood” è probabilmente uno degli highlights dell’anno in ambito thrash, sia per il suo spessore qualitativo che per l’importanza che in monicker
Death Angel ha nel panorama musicale, ma proprio perché ognuno ha delle aspettative nei confronti di alcune band/album,
“The dream calls for blood” sconta forse il difetto di essere troppo
“trashy”; come ben sa chi ha seguito fin dall’inizio la carriera ed il suono dei
Death Angel, sentirà la mancanza di quel suono e feeling vagamente sperimentale e fuori dagli schemi che ha sempre contraddistinto la band americana. Per qualcuno non sarà un difetto, per me un po’ lo è (e penalizza il voto finale), anche se, lo risottolineo, si tratta di una grande uscita.