Ad oltre un lustro dal precedente lavoro in studio, esce il nuovo album dei texani
Aska.
La band di Dallas, capeggiata dal veterano George Call (Omen, Banshee, Cloven Hoof), ha tenacemente resistito ad ogni moda e tendenza, portando avanti un chiaro discorso heavy metal che affonda le radici nei gloriosi anni ottanta di Iron Maiden, Metal Church, Armored Saint e co.
Le coordinate stilistiche rimangono ovviamente quelle scelte dalla band fin dal suo esordio negli anni ’90: tiro diretto e tagliente, appeal melodico mai troppo spinto, twin-guitars a manetta, un pizzico di epicità (“Valhalla”, “Eye of the serpent”) e la voce del leader in grande evidenza. Non mancano episodi particolarmente grintosi, vedi “Son of a god” o la cover di “The ripper” dei Judas Priest, così come momenti più dolci (“Angela”), per cui nell’insieme gli americani si mantengono ampiamente entro i propri livelli di qualità.
Come già detto in altra occasione, ritengo gli Aska un gruppo non fondamentale, però la loro onestà musicale è indubbia e può meritare l’interesse degli appassionati del classico HM di vecchia scuola.
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