Seppur da “profano”, sono stato un grande estimatore, almeno all’inizio, dell’epopea dei
guitar-heroes (quella coincisa con il periodo aureo della Shrapnel, per intendersi …), e tuttavia anche allora, forse proprio per la mia condizione di semplice ascoltatore, le mie preferenze sono sempre andate a chi, tra quei fenomenali funamboli delle sei corde, ha saputo privilegiare la dimensione complessiva della sua virtù, sorprendendo l’astante con un misto ben calibrato di forma e sostanza.
Giulio Rossi appartiene a quest’ultima categoria di musicisti, esperto e tecnicamente dotato, il nostro è talmente intelligente e maturo da non lasciare che le sue capacità e il suo ego prevalgano sul concetto superiore di “arte musicale”, svincolato da una sterile ostentazione di perizia individuale.
“Second act”, come del resto il precedente “Victims of the past”, non appare pertanto come il disco solista di un chitarrista ansioso di sfoggiare le sue travolgenti abilità “plettratorie”, bensì come l’esibizione di un artista che è sicuramente “anche” un ottimo esecutore, senza per questo doversi avvalere di tale preziosa caratteristica per occultare carenze compositive.
La scelta oculata dei sostegni vocali (una soluzione che non mi stancherò mai di consigliare a tutti gli
shredder emergenti …), piuttosto autorevoli peraltro, partecipa fattivamente alla riuscita di un lavoro fatalmente legato alla tradizione dell’
hard n’ heavy ottantiano e nello stesso tempo così spontaneo e ispirato da sfuggire risolutamente ogni eventuale accusa di eccessiva “familiarità” o di opportunismo nostalgico.
Il ricco
curriculum di Giulio, la sua militanza nei Synthesis, fieri veterani del metallo tricolore, contribuiscono a rendere la passione per i suoni immarcescibili di Rainbow, Black Sabbath, Deep Purple e Malmsteen un fatto assolutamente “naturale”, infuso nei solchi digitali del
Cd attraverso un
feeling denso e radicato, impossibile da simulare.
In questo modo, anche modalità espressive di sicuro non
rivoluzionarie e talune valutazioni stilistico/produttive magari non sempre pienamente condivisibili (soprattutto per quanto riguarda la componente ritmica), passano in secondo piano rispetto alla tensione emotiva concessa a brani come “Comes a time” (vivacità Rainbow-
iana efficacemente interpretata da Stefano Firmani), “Anything makes me blind” (fascinosa stimolazione sensoriale a tratti non lontanissima dai Warlord, con un convincente Aldo Caprini dei Glory Hunter dietro al microfono) e “Before the light” (numero
hard di buona qualità melodica, impreziosito dall’ugola di Max Evangelisti degli stessi Synthesis), tutto materiale di livello piuttosto elevato.
Da brividi, poi, il clima incombente di “Stazzema victims of horror”, autentico gioiello dell’opera, pregno di suggestioni drammatiche ed enfatiche perfette per la laringe evocativa di Alessandro “Zephyr” Zazzeri, mentre chi cercasse ebbrezze esclusivamente strumentali potrà reperire adeguata soddisfazione in "Dream to open eyes”, "Classic fire”, “Electric caprice orchestra” e “Passion at sunset”, a cui Giulio affida tutta la sua considerevole e variegata cultura “specialistica”, intrisa di Blackmore e Malmsteen, eppure attenta anche a maestri quali Satriani (specialmente nella prima delle tracce citate …), MacAlpine e Impellitteri.
E a proposito del seminale svedese, non rimane che commentare brevemente la
cover della sua “Rising force” … Frank Marino e Francesco Briotti concorrono a superare una prova insidiosa e impegnativa, risolta con disinvoltura, nonostante un orientamento di stampo
power, forse, leggermente “ingombrante”.
Le competizioni per il più “veloce del west” non vedranno mai il nome di Giulio Rossi tra i candidati … lo troverete, però, nell’elenco dei
musici che hanno edificato la loro carriera sul talento, sulla padronanza e sulla vocazione … a voi decidere a quale lista rivolgervi per i vostri ascolti quotidiani.