Avete presente quei periodi in cui
niente sembra andare per il verso giusto? In cui ogni scelta, anche la più banale, finisce irrimediabilmente per essere quella
sbagliata? In circostanze del genere nemmeno l’adorato
rock n’ roll, con il suo innato potere
taumaturgico, ha, apparentemente, i mezzi per risollevare gli animi, ma in realtà forse si tratta solo di scegliere il gruppo
giusto per affrontare un’impresa tanto impegnativa.
Ebbene, qualora, malauguratamente, dovreste trovarvi nelle succitate condizioni, vi suggerisco di provare con i
Superhorrorfuck, magari selezionando proprio questo “Death becomes us”, un concentrato di
humour nero, adrenalina ed energia che con il sottoscritto ha funzionato egregiamente, e dove altri, anche piuttosto qualificati, avevano fallito.
Ovviamente, lo consiglio caldamente anche a chi non stia attraversando momenti di difficoltà personali, anche perché qui non si tratta esclusivamente di una questione di “svago” a sfondo
horror-oso, bensì di una formazione preparata e vitale che ha saputo mutuare gli insegnamenti di Alice Cooper, Murderdolls, Hanoi Rocks, WASP e Misfists e farli propri, realizzando prodotti sempre molto credibili e ispirati, oltre che assai coinvolgenti.
L’impressione attuale è che
addirittura un pizzico di maturità si sia subdolamente insinuato tra gli schemi (de)compositivi del disco, rendendo la miscela di selvaggio
shock-rock degli
zombies veneti ancora più efficace e longeva.
Oltre ai quattro esplosivi brani del recente
Ep “
Gore-geous dead”, qui recuperati integralmente e di cui mi sono già occupato su queste stesse colonne, l’
album offre un bel numero d’intense tempeste sensoriali, passando dall’irruenza di “Dead world I live in”, alla maggiore affabilità melodica di “Love after death”, della stralunata
goticheria “The ballad of Layla Drake” e dell’incisiva “Horrorchy Pt. III, the lord” (e la saga continua …), senza dimenticare di condire il tutto con un adeguato spirito
anthemico-grottesco, particolarmente evidente in brani come “Threesome with the dead” e "Headless groupie”, esempio piuttosto efficace di lugubre schizofrenia sonica.
Da segnalare, infine, il contributo di Vikki Violence e Dixxi dei London Based Hellfire Club (
band dell’ex Brides Of Destruction London Legrand) nella brutalità
punk n’ roll di ”Break your shit”, e quello di Frenky e Caste degli Easy Trigger nella corrosiva tenebrosità di “Holy zombie”, il gradito ripescaggio (
remixato) da “Livingdeadstar” posto a degna chiusura di un lavoro parecchio riuscito e appagante.
I Superhorrorfuck, parafrasando un vecchio slogan pubblicitario, sono un ottimo rimedio “
contro il logorio della vita moderna” e giacché, tanto per proseguire su questa falsariga, “
prevenire è meglio che curare”, non mi resta che raccomandare a tutti i lettori di
Metal.it l’assunzione quotidiana di una dose generosa di questa particolare tipologia di (degenerato) “anti-depressivo” privo di controindicazioni.