Il 2013 è stato, finora, un anno molto avaro di soddisfazioni per chi ama il Black Metal.
Finora.
Probabilmente alla maggior parte di voi il nome degli
Inquisition dirà poco o nulla: il duo colombiano, dal 1996 trasferitosi negli States, è sempre rimasto nell'underground, alimentando con dedizione e disturbante fierezza la fiamma del metallo nero.
Tutti i loro lavori sono imperdibili.
Distruttivi, impenetrabili, carichi di odio estremo.
"Obscure Verses for the Multiverse", primo album del gruppo ad uscire per la Season of Mist, non fa eccezione.
Black Metal devastante, suonato con una perizia che ha pochi paragoni nella scena, oscuro, magmatico, capace di annichilire con il suo odio.
Dieci brani gelidi, dieci inni di morte adagiati su una sezione ritmica demoniaca, a suo agio sia nei furiosi blast beat che nei sulfurei rallentamenti, dieci urla di puro nero.
Un nero denso e appiccicoso che sembra soffocarti nel suo farsi quasi "fisico".
Gli
Inquisition proseguono sulla strada tracciata dal precedente, fortunato, album ma inseriscono elementi di novità: da un lato la ricerca melodica, prendete il termine con le dovute cautele, si fa più evidente e porta il gruppo a disegnare aperture stupefacenti che non fanno altro che esaltare la violenza sprigionata dalle note, dall'altra il riffing della chitarra di
Dagon, a tratti geniale, diventa sempre più complesso ed intricato contribuendo, in modo decisivo, alla sensazione di soffocamento alla quale accennavo precedentemente e facendosi interprete di un suono moderno e dissonante perfetto nel gestire le visioni cosmologiche narrate nei testi e per sopperire alla "cronica" assenza del basso.
Nel disco non c'è un passaggio fuori luogo, tutto è studiato alla perfezione.
Il ghigno velenoso del leader, praticamente identico a quello di
Abbath degli
Immortal, vomita il suo disprezzo incessantemente, l'alone ritualistico, da sempre trademark del duo, spezza la furia esecutiva con passaggi inquietanti e rallentati, le accelerazioni sapientemente incanalate in un vortice di devastazione e non fini a se stesse.
Tutto concorre a dare vita ad un album praticamente perfetto. Un album ancora una volta sopra le righe. Un album imperdibile per chi ama il vero estremo.
Gli
Inquisition, che ricordo essere in giro dal lontano 1988, si confermano, dunque, una stella di primissima grandezza e ribadiscono, ancora una volta, che accanto a quelli norvegesi anche il loro nome dovrebbe essere inciso a caratteri cubitali nell'olimpo del Black Metal.
Mostruosi.