Sino ad oggi, sono sempre stato dell’opinione che i
Ghost (aggiungete
BC se abitate negli States) abbiano ricevuto critiche eccessive e ingiuste da parte dei metaller nostrani.
Mi è capitato di prenderne le difese in occasione del recente
Sonisphere in quel di Rho: certo, fu un concerto sottotono (avevo assistito a un loro live pochi giorni prima a Barcellona, e si erano dimostrati molto più in palla), ma ha senso accanirsi su una band costretta a esibirsi con dei suoni ben oltre la soglia dell’indecenza?
Ho poi discusso delle qualità del combo svedese con un amico a fine estate, in occasione di una festaccia (nel senso buono) sul Lago di Garda (pensate un po’ come sono ridotto…): certo, non si sta parlando dei salvatori del metal, del gruppo che può cambiarti la vita o tantomeno dei nuovi
Mercyful Fate, ma piuttosto di una band che ha saputo giocar bene le proprie carte, anche a livello di marketing, che ha azzeccato l’immagine giusta e che ha realizzato un ottimo debut e un più che discreto secondo lavoro, accumulando un tesoretto di canzoni contraddistinte da un sound vintage riconoscibile in pochi istanti.
Proprio per questo, l’ascolto del nuovo EP
If You Have Ghosts (il cui artwork rimanda nientemeno che a Nosferatu, film-capolavoro di Murnau risalente al lontano 1922), mi ha creato un qual certo imbarazzo: alle mie orecchie, sembra confezionato ad arte per avvalorare le tesi dei detrattori.
L’impatto iniziale è stato addirittura scioccante: l’incipit della title track ha rievocato in me tragici ricordi del tormentone
Viva la Vida dei
Coldplay, che con tanta fatica avevo rimosso dopo il bombardamento mediatico del 2008 o giù di lì (e sì che io non ascolto radio e guardo pochissima TV!). Superato il momento difficile, mi sono comunque arreso all’evidenza: la cover di
Roky Erickson, seppur non brutta di per sé, suona davvero troppo abbordabile e leggerina per i miei gusti, anche a causa dell’assenza delle chitarre, colpevolmente non pervenute sino all’ultima porzione del brano.
Sotto tale profilo, non trovo che il lavoro dietro la consolle di
Dave Grohl, che pur mi è simpatico, abbia giovato alla causa: di fatto, ha finito per togliere mordente al sound, levigandolo al punto da renderlo esangue.
Nemmeno la successiva cover di
I’m a Marionette dei connazionali
Abba (già proposta in occasione del singolo
Secular Haze), in cui l’ex drummer dei
Nirvana presta i suoi servigi anche dietro le pelli, riesce a convincere appieno; quantomeno, le atmosfere orrorifiche cui i nostri ci hanno abituato fanno capolino all’altezza del chorus e del break strumentale. Non male, ma nemmeno qualcosa per cui strapparsi i capelli (non ne ho abbastanza per rinunciarvi così facilmente).
Crucified (degli
Army of Lovers) e
Waiting for the Night (cover dei
Depeche Mode Violator-era: meglio l’originale, che poteva contare su un arrangiamento elettronico straordinario) chiariscono oltre ogni dubbio come l’afflato melodico del gruppo, già enfatizzato in
Infestissumam, sia stato spinto oltre il punto di non ritorno. Lo stesso dicasi per l’interpretazione di
Papa Emeritus, le cui vocals paiono spente, educate, orfane di quella qualità sacrale e maligna al tempo stesso che aveva saputo sublimare le atmosfere di brani come
Ritual,
Year Zero o
Elizabeth.
Chiude la svilente carrellata una versione live non irresistibile della già citata
Secular Haze.
Che dire? Resta in me la flebile speranza che le sonorità di questo EP, davvero innocuo, senz’anima, dannoso prim’ancora che inutile, non si rivelino indicative del nuovo corso della band, e che il terzo full length sappia piazzare la zampata. Dovessero restare così le cose, i
Ghost finirebbero inevitabilmente per perdere un loro avvocato difensore, il quale, alla prossima festaccia sul Lago di Garda, si dedicherebbe ad argomenti diversi che iniziano con la lettera F.
Rimanendo il sottoscritto pur sempre un caso disperato, penso si tratterà di fantacalcio.