Copertina 7

Info

Anno di uscita:2013
Durata:92 min.
Etichetta:Self-released/independent

Tracklist

  1. THE STONE THE SLAVE AND THE ARCHITECT
  2. BLACK ARM
  3. FAILURE OF LIGHT
  4. BENEATH THE EARTH
  5. THE BRIDGE
  6. THE EARTH WANTS US DEAD

Line up

  • Gary Amedy: bass, vocals
  • Kevin Wigginton: drums, vocals
  • Tom Mucherino: guitars, vocals

Voto medio utenti

Perdincibacco! Dopo aver terminato l’ennesimo ascolto di questo lavoro mi sento stremato, esausto, e percepisco distintamente l’esigenza di lobotomizzarmi con le melodie più catchy e commerciali mai partorite da mente umana (in questo istante mi sto intossicando con I Like Chopin dei Gazebo, per farvi capire quanto sia grave la situazione).
Lo ammetto: l’ascolto di The Earth Wants Us Dead, secondo album dei Sea of Bones, ha saputo mettermi a dura prova. Come avrete notato dal voto in calce ne è valsa la pena, ma quanta fatica…

Andiamo per ordine: il power trio proveniente dal Connecticut aveva già messo in chiaro quale fosse il proprio credo musicale in occasione del debut, risalente al 2007, dal titolo The Harvest (l’EP Grave of the Mammoth del 2006, ad onor del vero, non lo conosco); un credo che si traduce in sofferenza strisciante, in pesantezza sonora e concettuale che soffoca pian piano ma in modo inesorabile, come l’abbraccio di un boa constrictor. Parliamo di una band che fa del doom più sepolcrale e pachidermico il proprio vessillo; partendo da ciò, i nostri sviluppano un sound che abbraccia tanto l’angoscia del funeral quanto il desolante minimalismo del drone, e che non disdegna affatto divagazioni sludge e *post. Per riassumere: una sorta di orgia in super slow motion che vede coinvolti Neurosis, Pelican e Sunn O))).

Se siete amanti dello speed anni ’80 alla Scanner, e se le premesse di cui sopra vi hanno già messo in allarme, sappiate che non è certo finita qui: i nostri baldi giovincelli hanno deciso di fare le cose in grande, confezionando un doppio cd dalla durata complessiva che supera l’ora e mezza. Ciliegina sulla torta: il secondo dischetto si sostanzia nella sola title track, brano interamente strumentale che ci allieta per 39 minuti buoni…

Ok. Credo che il campo, a questo punto, sia sgombro: se non siete ancora fuggiti a gambe levate, significa che il genere vi aggrada. Indi per cui, posso ora affermare con convinzione che, superato il difficile impatto iniziale, l’album saprà donarvi discrete soddisfazioni.
Il gruppo statunitense, infatti, dimostra di conoscere a menadito la materia, tanto da trattarla con competenza e personalità fuori dal comune: i riff sono “grossi” e ostili al punto giusto (anche per merito dei suoni, saturi all’inverosimile), mentre la sezione ritmica avvolge l’ascoltatore in un sound paludoso, reso ancor più insalubre dal growling del singer (e chitarrista) Tom Mucherino. Dal pantano emergono così ottimi momenti: basti soffermarsi sull’ossessione sciamanica di The Stone, The Slave and The Architect (molto Yob), sulle distruttive dissonanze di Black Arm, o ancora sulle spaventose esplosioni emotive di Failure of Light.

Con riguardo alla già citata The Earth Wants Us Dead non mi esprimo più di tanto, trattandosi più di una esperienza uditiva che non di una composizione vera e propria. Questa interminabile riflessione drone-ambient dai toni soffusi si risolve in una lenta, lentissima progressione che rimane abortita, non esplodendo mai e lasciandoci un amaro senso d’incompiuto in bocca al termine… Una traccia oltremodo ostica e subliminale, eppur rappresentativa del carattere ostile dell’album.

Avete mai osservato un maschio di tartaruga gigante avvicinarsi a un esemplare di sesso opposto con l’obiettivo di fondere i due corpi nell’estasi suprema che è propria dell’idillio dell’amore (cit.)? Ecco, la musica dei Sea of Bones è proprio come quell'approccio: disagevole, estenuante, impegnativo oltre ogni dire; eppure, se si ha pazienza, insospettabilmente godibile.
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

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