Quando si recensisce un album di esordio, solitamente si fa riferimento a gruppi "noti", più o meno simili nella proposta musicale, per inquadrarne le caratteristiche.
Dredg,
Paradise Lost,
Deftones,
Interlace,
Depeche Mode: questi i nomi da fare per dare una idea dell'omonimo esordio degli svedesi
The Isolation Process.
Per darne una idea fredda però.
I paragoni, infatti, non darebbero la vera dimensione di questo disco: un lavoro caldo, melanconico, rabbioso, bilanciato tra dure esplosioni metalliche e morbide melodie evocative.
Il terzetto svedese suona un
alternative metal ricco di sfumature e sensazioni diverse.
Una musica, la loro, che resta metal nell'approccio violento delle sei corde, quasi di matrice death/doom, e che sa divagare in aperture ariose, sebbene disperate, soprattutto grazie alla magnifica voce di
Thomas Henriksson capace, con una interpretazione calda e sofferta, di dare un tocco personale ad ogni brano.
Già, i brani.
Qui ne abbiamo nove, uno più bello dell'altro, uno più profondo dell'altro.
Nove gemme in cui l'emozione prende il sopravvento sulla mera tecnica esecutiva e la semplicità diventa protagonista incontrastata di un mosaico sonoro dolce e suggestivo.
"The Isolation Process" è un album triste, oscuro, direi crepuscolare.
Uno di quei lavori da gustare in silenzio, quando fuori soffia il gelido vento invernale per poterne cogliere ogni dettaglio, un lavoro che, lo sottolineo ancora, è squisitamente metal e fiero di esserlo giacchè non rinuncia mai alla violenza.
Una violenza profumata di sapori invernali.
Aprite gli occhi su questa nuova realtà, ne sarete affascinati.
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