Cercando di sopravvivere ad un attacco iperglicemico dovuto all'ascolto di questo impensabile ritorno dei
Bloodgood, butto giù queste righe di recensione. Se la vista non mi inganna (uno dei primi sintomi del diabete) il silenzio discografico di inediti di questi ragazzi (eh, una volta) durava da ben 22 anni! Nativi di Seattle, i
Bloodgood hanno pubblicato il loro primo ed omonimo lavoro nel 1986 sulla scia degli
Stryper, che solamente l'anno prima se ne uscirono con quel capolavoro di
Soldier Under Command. Stiamo quindi parlando di un hard rock/class metal con liriche totalmente incentrate sulla religione cristiana e sulla benevolenza dell'onnipotente.
Le canzoni, costruite quasi tutte alla stessa maniera, sono dei mid tempo quadrati, molto orecchiabili che, nella parte centrale, hanno un intermezzo acustico oppure lento, piuttosto che uno stacco di basso, per poi esplodere nell'assolo e tornare zuccherine nel ritornello.
Tutto
Dangerously Close è suonato bene con una menzione particolare per il basso di
Michael Bloodgood che emerge con forza in alcuni punti e che in generale è sempre ben presente. Buono anche il cantato di
Les Carlsen, in possesso di una voce calda e leggermente roca, meno convincente negli acuti in falsetto dove però non tutti possono essere dei
Michael Sweet. I legami tra le due formazioni americane non finiscono però qui. Alle chitarre, oltre a
Paul Jackson, troviamo infatti
Oz Fox dei giallo-neri californiani, unitosi alla formazione nel 2007 e cha ha anche preso parte alla registrazione del DVD
Live in Norway.
Il suo apporto in questo nuovo lavoro dei Bloodgood è considerevole, non tanto per i riff che purtroppo non sono memorabili, quanto per i pregevoli assoli e ricami che imbastisce con
Jackson su canzoni che, altrimenti, sarebbero abbastanza anonime.
Non mancano le ballatone strappamutande (
I Can Hold On, Father Father e
Crush Me)che in questo caso, visto le tematiche dei testi, si trasformano in "preghierone". Non ho nulla contro le tematiche positive (adoro ad esempio
Veni Domine e
Trouble) ma a volte i nostri esagerano diventando davvero melensi. Come, con tematiche al contrario, succede a band troppo truci, vedi
Debauchery e simili. Buoni i pezzi più energici come l'opener
Lamb of God, Man in the Middle e
The Word, mentre brani come
Child on Earth e
I Will con i rispettivi "
Amen" e "
I will, thanks for your glory, I wanna fly on the wings of your love" sono, come detto, un pochino pacchiane.
Per concludere, mi sento di consigliare questo disco non solo ai fan degli
Stryper ma più in generale agli amanti di sonorità ottantiane, non troppo spinte sul versante della velocità e della distorsione, che possono qui trovare un nuovo disco da inserire in macchina che potrà accompagnarli per parecchi chilometri.
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