La collaborazione tra Dushan Petrossi e Mark Boals prosegue anche in occasione di "Fifth Son of Winterdoom", per quanto rispetto al precedente "Black As Death" si debba invece registrare l'assenza di Mats Olausson.
Il resto della formazione è invece ancora al suo posto, infatti, alla sezione ritmica ritroviamo Vassili Moltchanov e Ramy Ali, come pure ritroviamo quello stesso Power Metal Neoclassico di cui gli
Iron Mask si sono fatti alfieri.
Ancora una volta Dushan Petrossi non riesce a scrollarsi di dosso l'ingombrante influenza da Yngwie Malmsteen, d'altra parte non credo che questo fosse tra i propositi del chitarrista belga.
Sicuramente si voleva replicare il buon lavoro fatto con il già citato "Black As Death", e direi che tutto sommato siamo da
quelle parti.
Mark Boals è un signor cantante e non lo deve dimostrare ora e lo stesso Petrossi non è certo l'ultimo arrivato, per quanto talvolta il suo guitarwok si riveli fin troppo invadente.
Il passo epico di "Reconquista 1492" e le ruvide "One Commandment" e "Seven Samurai" si segnalano tra i momenti migliori dell'album, ma un po' di energia in più non avrebbe certo fatto male, inoltre la presenza di banalità (su "Angel Eyes, Demon Soul", negli assoli della conclusiva "The Picture of Dorian Grey") e alcune cadute di tono ("Rock Religion" con i suoi cori imbarazzanti) non aiutano a far eccellere un lavoro che, anche per un'evidente dipendenza dai
soliti schemi, appare in difficoltà nel proporre delle canzoni che abbiano una marcia in più.
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