Davvero succulenta questa raccolta monstre (oltre 230 minuti di musica!) che rimasterizza e accorpa in 3 dischetti tutte, ma proprio tutte, le registrazioni ascrivibili agli sfortunati
Abramelin. Per chi non li conoscesse, parliamo di una death metal band australiana ricca di talento risalente alla seconda metà degli anni ’90.
A mio sommesso parere, gli
Abramelin (non si tratta di un insulto in dialetto genovese, bensì del nome di un mago egiziano) possedevano tutto quello che sarebbe servito per una carriera longeva e zeppa di soddisfazioni; purtroppo litigi, split, incomprensioni, censure e scarse vendite condussero il combo a un prematuro decesso.
Ciò non toglie che le poche release lasciate ai posteri dai nostri suonino oggi come piccole gemme underground in grado di far la felicità di ogni deathster. Vediamo di scendere più nel dettaglio…
CD 1:
TRANSGRESSION FROM ACHERONAbbandonato, dopo sei lunghi anni, il moniker
Acheron (per evitare confusione e inevitabili dispute legali con l’omonimo gruppo statunitense), il quintetto riesce infine a realizzare il primo EP, in cui comunque non rinuncia ad utilizzare il vecchio nome, almeno nel titolo.
Dopo la classica intro inquietante, che gli appassionati dell’horror sapranno ricondurre al capolavoro
La Cosa (quello di
John Carpenter del 1982, mica il moscio prequel del 2011), si entra subito nel vivo (per modo di dire, visto il genere), con
Human Abbattoir, che mette in mostra le tante qualità del combo.
I riff tenebrosi, i cambi di tempo, gli assoli malati di
Tim Aldridge, le vocals cavernose e inintelligibili di
Simon Dower, così come le sue lyrics spesso ben oltre la soglia del buongusto, spingono il death classico degli australiani in territori brutal floridiani, coi sempiterni
Cannibal Corpse quale primo riferimento.
Gli
Abramelin dimostrano di sentirsi perfettamente a loro agio tanto nelle situazioni più concitate quanto in quelle maggiormente improntate alla ricerca dell’atmosfera: valgano da esempio due perle quali
Dearly Beloved, mid tempo dotato di un feeling morboso e putrescente degno dei migliori
Obituary, e
Relish the Blood, trascinante a dir poco.
Un ottimo biglietto da visita dunque: non avevo mai ascoltato questo
Transgression From Acheron prima, e mi ha piacevolmente impressionato!
Completa il disco una notevole serie di chicche, ripescate fra 7”, demo e promo dell’epoca. Spiccano senz’altro la folle
Final Biopsy, la torrenziale
Deprived of Afterlife e la marcia
Penetrate the Hymen (titolo di sublime raffinatezza).
VOTO: 7,5CD2:
ABRAMELINGià passati da five a four piece (ahimè, non c’è mai stata pace o continuità nella line up dei nostri), gli
Abramelin decidono di titolare il full length d’esordio col nome della band. Scelta non particolarmente originale, ma per fortuna con la musica andiamo meglio.
Le coordinate musicali, in verità, sono rimaste pressoché invariate: la matrice brutal a stelle e strisce è sempre presente, seppur percorsa da venature melodiche di gusto più nordeuropeo (penso ai mitici
Dismember).
Credo che per gli amanti di queste sonorità sia impossibile rimanere delusi: l’album fila che è una meraviglia, soprattutto grazie al riffing possente, vario e ispirato, e a un songwriting solidissimo.
Almeno due i pezzi da novanta: l’inattesa cover di
Cantara dei
Dead Can Dance, che la band riesce a far propria senza smarrire l’alone di misticismo sciamanico dell’originale, e la monumentale
Stargazer (The Summoning), che illude con una lancinante porzione iniziale quasi doom, per poi impazzire di colpo e lanciarsi in una memorabile orgia di violenza, stemperata in chiusura da un nostalgico arpeggio. Brano grandioso.
Meno spettacolare la sezione degli extra, che ci propone per lo più rehearsal di brani già ascoltati altrove. Una mezz’ora abbondante che aumenta il volume della raccolta più che rappresentare un vero e proprio fulcro d’interesse, senza contare che i suoni sono quello che sono (come direbbe la
Signorina Silvani di fantozziana memoria). Un bel colpo per i completisti, nondimeno.
VOTO: 8CD3:
DEADSPEAKCinque membri sul primo EP, quattro sul successivo full… e due (!) nel secondogenito. Solo i poveri
Tim Aldridge e
Simon Dower sono rimasti a bordo in occasione del canto del cigno
Deadspeak, vedendosi costretti a fare di necessità virtù.
Così, le parti di batteria vengono affidate a una drum machine, senz’altro ben programmata e sufficientemente umana nel feeling esecutivo; al tempo stesso, il suo suono sintetico e poco amalgamato col resto degli strumenti, assieme a un approccio compositivo leggermente (ma leggermente, eh?) più raffinato, finiscono per svilire il feeling putrido e old school che aveva contraddistinto i lavori precedenti.
D’altra parte, la band non si è certo dimenticata come si scrive un pezzo coi controcosiddetti.
Waste stupisce grazie a un guitar solo d’alta scuola (costante positiva del platter), mentre la conclusiva
Plague si candida al titolo di miglior brano mai composto dagli
Abramelin, grazie a un debordante feeling epico e a un paio di sfuriate da antologia del death metal.
Il modo migliore di chiudere l’album… e la carriera, visto che null’altro verrà registrato dai nostri dopo
Deadspeak.
Lungi da me avallare qualsiasi meschina pratica volta a comprimere la libertà di espressione, ma sta di fatto che le lyrics del disco (quelle di
Pleasures in particolar modo), un tantinello forti, fecero storcere il naso ai benpensanti dell’epoca. La censura, ancora una volta, colpì forte, alimentando lo status di cult band degli
Abramelin, ma svilendone altresì le prospettive commerciali. E siccome non si vive di sola cultitudine (perdonate l’aberrante neologismo), il gruppo si sciolse di lì a poco. Triste.
Alcune versioni live, ottimamente eseguite e graziate da un sound più nitido del previsto, completano il terzo e ultimo cd.
VOTO: 7Se state valutando d’investire i vostri denari in
Transgressing the Afterlife, sappiate che potrete optare per una ricca versione in vinile (stampata in sole 1000 copie), e che anche la versione in compact disc (da quanto tempo non lo scrivevo per esteso!) potrà contare su un bel booklettone colmo di foto, note, testi e interviste ai pilastri del gruppo
Simon Dower e
Tim Aldridge.
Dal canto mio non posso che plaudere alla nobile iniziativa della
Century Media: in mezzo alle troppe ristampe prive di senso che oggigiorno infestano il mercato, questa preziosa raccolta ci permette di riscoprire una band che ha raccolto meno di quanto seminato, e che avrebbe meritato maggior gloria.
Amen.