La rassegnazione è il sentimento che filtra con maggior insistenza dai solchi di questo
A Place Apart, debut dei
Suffering In Solitude. Come moniker e artwork (azzeccato nel feeling ma meno nella realizzazione, a parer mio) suggeriscono, ci troviamo di fronte all’ennesimo progetto post-depressive black statunitense, intenzionato a dimostrare che posto deprimente sia il mondo e quanto misera sia l’esistenza umana. Il risultato viene tutto sommato raggiunto, seppur con riserva.
Si parte con
Inside Out, intro che chiarisce da subito il carico di malinconia che grava sul trio: la sua tenue melodia di chitarra, ripetuta allo sfinimento, riuscirebbe a portare lo sconforto anche al Carnevale di Rio. Al tempo stesso, non avrei disdegnato qualche variazione sul tema o, alternativamente, un taglio del minutaggio.
La successiva
Entrance, ancora strumentale, non abbandona il feeling cupo, e anzi lo alimenta con bordate black metal sì livorose ma non troppo ispirate. Un buon brano, in ogni caso.
Proseguendo si percepisce qualche piccola pecca nella produzione, così come l’esecuzione non appare sempre al top. Ne costituisce chiaro esempio
Exit (Time Lost), contraddistinta da un'altra sfuriata di scarso impatto che, quantomeno, ci permette di valutare la prova canora di
Christopher A., leader del combo. Ebbene, posso dire di aver apprezzato il suo approccio allo screaming: stridulo, per nulla modulato, teso ad esternare tutto il disagio di un’anima infelice.
Ciononostante, le vocals faticano a imporsi, rimanendo nelle retrovie di un mixing non esattamente sopraffino. Peccato.
La quarta traccia (che prende il nome della band) seguita nell’opera di abbattimento morale dell’ascoltatore, rimanendo adagiata su tempi medi e su atmosfere dal sapore post-rock. Strazianti, anche qui, le grida del singer.
La terza strumentale
Distance (tutt’altro che memorabile, ad onor del vero) sfocia poi nel momento migliore del platter:
Sunken, Placed Apart, dove le chitarre tratteggiano paesaggi privi di colore, freddi e desolanti, lo screaming si fa ragionato e grave, così come gli arrangiamenti divengono più maturi.
Nulla di stravolgente, sia chiaro; piuttosto, un assaggio delle potenzialità di un gruppo ancora acerbo.
Credo che i
Suffering In Solitude, se "solo" riuscissero a consolidare il songwriting e a perfezionare le fasi estreme, potrebbero togliersi delle soddisfazioni; oggi come oggi, però, manca ancora qualcosa per emergere.
Agli amanti del depressive, comunque sia, un ascolto male non farà.
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