Riuscite ad immaginare una magmatica fusione tra Police (anzi, qualcosa mi dice che se non si fossero prematuramente sciolti oggi i favolosi
sbirri britannici suonerebbero più o meno così … altro che Fiction Plane & C. …), Radiohead, Simple Minds, NIN, Porcupine Tree, Faith No More, Coldplay e Joe Jackson? E soprattutto, potete accettare che un gruppo capace di tale
miracolo artistico sia ancora privo di un prestigioso contratto discografico?
Beh, nella speranza che il secondo degli interrogativi venga immantinente invalidato dal corso “naturale” degli eventi, v’invito caldamente, qualunque sia stata la risposta alla prima domanda, al contatto immediato con i
Tryptamin, una brillante formazione piacentina di
rock “a geometria variabile”, per cui i limiti stilistici non sembrano esistere, e proprio per la “natura onnivora” (come dichiara la
bio della
band) dei suoi membri, evidentemente (e fortunatamente …) incapaci di affidarsi a soluzioni espressive già ampiamente codificate e prestabilite.
In “Monday hangover”, il primo
full-length del gruppo (seguente ad un paio di
Ep),
alternative,
shoegaze,
new-wave,
metal,
pop,
jazz ed elettronica convivono, s’intersecano e si completano vicendevolmente con impressionante disinvoltura, sostenuti da un’impeccabile perizia tecnica, da un’inventiva e da un’ispirazione melodica di elevatissimo livello, a comporre un mosaico sonoro sempre pulsante e sorprendente, oltre che emotivamente appagante.
Non c’è istante, nei quarantasette minuti di durata dell’opera, che non ostenti questa non comune scintilla creativa, non c’è brano, nei nove dell’appassionante programma, che non colpisca con incessanti sollecitazioni sensoriali, raffinate, avvolgenti, intense e prepotenti.
Ogni eventuale citazione specifica appare, pertanto, abbastanza
accessoria, cosa che comunque non m’impedisce una veloce dissertazione singola, cominciando dalla suggestione irresistibile garantita da “The hole”, passando per le oscillazioni liquide di “Girl shaped shell”, per l’ingegnoso gusto
mainstream del singolo “Driver”, dell’enfatica “Water on the sun” e della ritmata “Armchair”, per poi finire, dopo i sussulti
funky-blues di “Viral”, nelle braccia amorevoli della sublime “Mail received at 4 am”, della forbita "The day we met on the staircase” e della notturna e iridescente “Ten years in one day”, autentiche
chic-erie da intenditori.
“Monday hangover” è una boccata d’aria fresca, un album estremamente intelligente, che è anche, non vi
spaventate, assolutamente coinvolgente e avvincente.
Grande disco. Grande gruppo. Gran bella sorpresa.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?