Dei Greenleaf dovreste sapere già tutto. Se siete stati attenti alla mia recensione del loro debutto (“Revolution rock” 2001) siete a conoscenza che si tratta di un progetto messo in piedi da membri di Dozer e Demon Cleaner, due formazioni che rappresentano al meglio lo stoner Europeo, corrente Scandinava. Gente che ha sempre badato al sodo pescando molto dai Kyuss, un po’ dal metal, qualcosa anche dall’hard psichedelico, ottenendo un sound spesso e votato alla potenza muscolare ed alla fisicità settantiana. Uno stile che possiede uguale numero di ammiratori accaniti e detrattori spietati, i primi conquistati dalla gigantesca energia e dal genuino spirito rock che trasuda da questi lavori, i secondi annoiati dal ripetersi di certi schemi proposti con pochissime variazioni originali, critica che sovente pare avere fondamento.
Nel caso in esame, da un side-project fortemente voluto da Tommi Holappa dei Dozer e Daniel Liden dei Demon Cleaner ci si aspetterebbe una direzione quantomeno imprevista, spiazzante, lontana dagli stilemi delle loro bands principali. Invece, come abbiamo già sentito nell’album d’esordio, le cose stanno esattamente all’opposto. I Greenleaf si riallacciano fortemente allo stoner nordico pur inserendo notevoli elementi psych-rock, e ciò liquida le speranze di convincere gli scettici che “Secret alphabet” è un gran bel disco, perché lo è davvero.
Esaurito un breve intro, il trittico di brani iniziale è una mazzata heavy-stoner che abbatterebbe un bisonte. Lo stile ricalca effettivamente quello di “Call it conspiracy”, fatto che non è così disastroso, in ogni caso la sincerità e la convinzione di quest’aggressione spezzacollo sovrasta ed annulla i limiti di eccessiva derivazione. In sostanza se vi piace il genere c’è pane per i vostri denti. I Greenleaf non sono manieristi che astutamente giocano ad autocitarsi, semplicemente amano e producono vera musica heavy interpretandola con anima e corpo e non hanno intenzione di cambiare registro.
Rispetto al precedente episodio c’è comunque una maggiore attenzione alla varietà delle canzoni, quindi accanto a bulldozers impietosi come “Black black magic” troviamo bellissime atmosfere magnetiche sul versante space-rock. “The combination” o la vellutata “One more year”, “Masterplan” ed ancora lo stoner-trip “The spectre”, che ricorda da vicino lo Yeti di “Madre de dios” già cavallo di battaglia Dozeriano, sono brani pieni di buone vibrazioni che i fans dello stoner sanno apprezzare anche se non segnano un evoluzione nel mondo della musica rock.
L’unico passaggio incerto del disco è stranamente anche il più esteso, gli oltre sette minuti di “No time like right now!” sembrano trascinarsi un po’ a fatica o forse è l’alto livello delle canzoni precedenti che me lo fa sembrare soltanto mediocre.
Inutile andare oltre in una situazione chiarissima, il progetto Greenleaf non aggiunge e non toglie nulla a ciò che sapevamo sul movimento Scandi-stoner ed il loro secondo lavoro si rivolge, con definizione migliorata, al folto gruppo di fedelissimi del settore. Gli altri continueranno a parlare di riciclatura Kyussiana e passeranno oltre. Peggio per loro.
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