Uff... Dopo l’ascolto in cuffia a volume sconsigliabile del secondo full length dei
Murmur, mi sono scoperto afflitto dall’intontimento tipico di chi ha fatto uso di sostanze illecite.
Sapevo dell’approccio poco ortodosso al black metal della band di Chicago, ma in onestà non mi attendevo un trip di tali dimensioni.
Un trip deviato e inquietante, ben s’intenda: non di quelli che ti cullano in spirali variopinte ed elefanti danzerini, bensì di quelli che ti turbano, ficcandoti in testa immagini sinistre, paure incontrollate, paranoie e incubi ad occhi aperti.
Il quartetto ottiene lo straniante effetto grazie a melodie sghembe, liquide improvvisazioni, dissonanze raggelanti, linee vocali stralunate e un modus operandi compositivo che non si pone limite alcuno, attingendo a piacimento dai generi più disparati.
Così, nei solchi dell’album omonimo dei
Murmur troverete tutto e il contrario di tutto: una ben presente base black (coi
Nachtmystium quale primo riferimento), rock psichedelico, prog estremo (una sorta di
Ihsahn ancor meno legato alla forma canzone, senza dimenticare i
Mastodon) e un pizzico di jazz..
Pensate ai
Pink Floyd posseduti da diavoletti appassionati di metal, e per sovrappiù somministrate loro qualche etto di Krokodil: forse così avrete un’idea di ciò che vi attende.
Difficile citare brani più rappresentativi di altri: personalmente, sono rimasto colpito dall’allucinata, lunghissima porzione strumentale dal sapore psychedelic doom di
Al-Malik.
Altro momento ricco di fascino è
Bull of Crete, pezzo ad alto tasso lisergico che sembra sempre sul punto di collassare su se stesso.
Va detto, d’altro canto, che ogni tanto i nostri perdono del tutto il contatto con la realtà, scivolando in territori troppo autoindulgenti e criptici: penso al caos totale di
Zeta II Reticuli e
Zeta II Reticuli, pt 2, davvero ardue da digerire, e alla irritante ripetitività di
King in Yellow, per colpa delle quali mi vedo costretto ad abbassare il voto finale.
A risollevare una seconda metà di album non all’altezza della prima, per fortuna, ci pensa la cover posta in chiusura:
Larks’ Tongues in Aspic, pt 2, canzone dei geniali
King Crimson reinterpretata in maniera (molto) personale. Scelta di classe, senza dubbio.
Un doveroso avvertimento: date un ascolto prima dell’acquisto. Molti di voi troveranno questo disco un pastrocchio sconclusionato, ne sono certo; dal canto mio, in questo periodo gradisco eccome le proposte musicali più eccentriche (per non dire folli), e ho attinto con grande piacere dal fumante (è proprio il caso di dirlo) calderone dei
Murmur.
Buon viaggio.
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