Sesto album per gli olandesi
Legion of the Damned, quartetto che fa dell'aggressione sonora il proprio verbo, basandosi su un thrash metal assai violento che talvolta va ad avvicinarsi a sonorità quasi death e che ha raggiunto il proprio apice compositivo nel 2008 con il riuscitissimo "
Cult of the Dead", disco che probabilmente non riusciranno mai a replicare.
Dopo il discreto "
Descent into Chaos" del 2011, dopo tanti anni e 5 dischi
Erik Fleuren e soci abbandonano la
Massacre per abbracciare la
Napalm e questo indubbiamente per loro è un salto positivo, in quanto l'etichetta austriaca gode indubbiamente di una salute e di un roster migliore dei colleghi tedeschi.
"
Ravenous Plague", di cui onestamente non mi avevano parlato bene, segue essenzialmente la scia del disco precedente, e di tutti gli altri: lo stile non è minimamente cambiato, per fortuna, perchè da una band come i Legion of the Damned ci si aspetta di tutto tranne che cambiamenti di rotta: i riffs sono sempre quelli, a base di
Slayer, Venom e Kreator, in un turbillon di deathrash senza respiro, tra tempi velocissimi e mid-tempos spaccacollo. Il nuovo chitarrista
Twan van Geel, al posto di
Richard Ebisch confluito nei nuovi ed ancor più estremi
Kill Division, ha portato un tocco di melodia in più, specie negli assoli che da sempre sono stati il tallone di Achille di Ebisch, o semplicemente non la sua "cup of tea".
A parte questa piccola novità, il cambiamento più grande è stato quella della produzione, stavolta decisamente più curata e brillante, insomma non caciarona ed old-school come da tradizione Legion of The Damned, sebbene sempre adatta al loro soun: insomma, semplicemente si sono evidentemente rivolti a studi o produttori più aggiornati coi tempi e le tecnologie. Sempre bravo invece il frontman
Maurice Swinkels, con la sua ugola cartavetrata al vetriolo.
In definitiva "
Ravenous Plague" conferma una band in discreta salute, che non fa ovviamente parte di una qualsivoglia elite del metal, ma che regala sempre quella quarantina di minuti di mazzate ben fatte e confezionate, da cui si sa sempre preventivamente cosa aspettarsi ma che anche per questo difficilmente delude, anche se gli sono preclusi colpi di genio, eccezion fatta per l'irriproponibile "
Cult of the Dead".
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