Copertina 9

Info

Anno di uscita:2004
Durata:50 min.
Etichetta:Aural Music
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. MAIN TITLES
  2. STORMCHILD
  3. BOGIE IN A COAL-HOLE
  4. SIRENS FROM THE UNDERLAND
  5. WILL O'THE WISP
  6. STRAYED MOPPET
  7. OLD YEAR'S MERRY FUNERAL
  8. NATURAL QUATERNION: SYLPHS, GNOMES, UNDINES, SALAMANDERS
  9. SHADES OF CASEMENT
  10. SWAMP-STAMP-POLKA
  11. END CREDITS

Line up

  • Max Samosvat: vocals
  • Lex Plotnikoff: guitars, bass, keyboards
  • Tom Tokmakoff: drums, bass, keyboards

Voto medio utenti

Erano mesi che si faceva un gran parlare dei russi Mechanical Poet, sin da quando firmarono per la Aural Music, la “holding label” sotto la cui egida troviamo anche la Code666 e la Dreamcell11, e si diceva un gran bene di loro. Nel corso di questi mesi c’è stato un mastodontico spreco di fantasiose etichette per descrivere la musica della band, si è addirittura arrivati a definirli “Harry Potter Metal”, ma alla luce di quello che ho ascoltato, e di cui tra poco cercherò di parlarvi, possiamo benissimo definirli avantgarde, nel senso più lato del termine, benché qualcuno pensi che tale etichetta sia ad uso e consumo delle sole band norvegesi.
Messe da parte le stupide questioni di etichettatura, per quelli che non ne possono fare a meno, veniamo alla cosa più importante, la musica. Qui di musica ce n’è tanta, tutta di pregevolissima fattura, e le sensazioni che regala sono così dilatate che il disco è più simile ad un viaggio immaginifico, un viaggio nella dimensione emozionale nella più pura accezione del termine.
I Mechanical Poet fondono le influenze più disparate, prog, power, metal pesante, orchestrazioni classiche, gothic vibes, epic, folk, elettronica, parti che sembrano tratte da colonne sonore, si va da “Il Signore Degli Anelli” a “Conan Il Barbaro”, passando per le atmosfere inquietanti e surreali di Tim Burton, il tutto senza essere mai scontati, banali o peggio ancora pretenziosi. Il risultato è una musica ariosa, che ha la stessa progressività e grazia di un cigno che dischiude, lentamente, le sue ali con armonia e spicca un volo maestoso e di rara bellezza.
Le qualità tecniche poi sono notevoli, ma un ulteriore pregio della band è quello di aver sconfessato uno dei dogmi più diffusi nell’immaginario collettivo metallico, ovvero l’equazione musica progressiva/freddezza esecutiva, la quale qui, ovemai sia esistita, lascia il posto a note colorate dai toni pastello, ad immagini soavi e raffinate, a calde emozioni che fluiscono impetuose e travolgenti e penetrano fin dentro l’anima, nel più profondo, donandole tepore e languore. Chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare, anzi travolgere, dall’onda emozionale del trittico “Old Year’s Merry Funeral”, “Natural Quaternion” e “Shades On A Casement” sarà un’esperienza sublime, a tal punto che non oserete abusarne, ma la centellinerete come si fa con il più prezioso degli elisir.
La componente più ordinaria della musica dei Mechanical Poet è la voce del singer Max Samosvat, molto simile a quella di Timo Kotipelto, ma comunque molto espressiva.
Non saprei a chi consigliare questo disco, bisogna essere esteti ed amare il bello per apprezzare musica simile, avere un animo sensibile per comprendere tutte le sfumature di una musica così sfaccettata e strutturata, complessa ma non complicata, che arriva direttamente al cuore delle emozioni. “Woodland Prattlers” è poesia, è languida carezza che riscalda, con un artwork stupendo ed una confezione lussuosa con libretto di ben 20 pagine che contiene un fumetto, di cui però non ho potuto godere con la mia promo version. Mi spiace parlare di codeste questioni prosaiche, ma è un peccato non poter approfondire l’aspetto lirico, di sicuro spessore, né poter godere per intero di questa piccola opera d’arte fruendo anche della sua parte visiva.
Chiudo con la convinzione che questo disco sarà di sicuro nella mia top-list di fine anno, e se non prende il massimo dei voti è solo perché la sua musica tocca corde di cui non conosciamo ancora i confini, l’anima.
Recensione a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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