Devo essere sincero, su due aspetti. Il primo è che conosco questi ragazzi personalmente, il secondo è che quell’otto che vedete come voto non c’entra nulla col rapporto che posso avere maturato con loro nel tempo, ma è frutto soltanto della qualità cristallina di questo
Where Man Breaks.
Un disco prodotto divinamente, che difficilmente trova una collocazione di genere: per alcuni è prog, per altri alternative, ma in fondo cosa importa? L’importante è avere a che fare con un album in cui ogni canzone rappresenta un universo intero di colori e sensazioni, in cui ogni cosa è stata sistemata al proprio posto con passione maniacale, in cui la band non sceglie mai la strada più semplice, sia negli arrangiamenti strumentali che nelle linee vocali. Qualche ascolto è dunque necessario prima di riuscire ad aprire la mente al mondo sferico, ma sicuramente una volta fatto questo avrete nelle orecchie una delle novità più sorprendenti uscite negli ultimi mesi.
Partenza ottima con
Sixther e, dopo una
First Sunrise non troppo esaltante (pur carica di diversi elementi chiave della proposta della Sfera), ecco arrivare la bomba! Con
Oh Mother, infatti, le potenzialità della band esplodono in tutta la loro unicità. La terza traccia è ritmata, potente, con un fascino melodico particolare e coinvolgente. Da qui in poi è tutto un crescendo: la modernissima
Black Box inquadra alla perfezione quanto sperimentale, ricco e fresco sia il songwriting di questi ragazzi. Cullante la bellissima
A Key For Me, mentre in
Their Path si raggiunge a mio parere l’apice melodico di tutto il lavoro.
D-Kado e il suo riffing serrato mi ricordano il rimpianto nel non aver trovato più violenza sonora nell’album: una strada, quella dell’incremento di soluzioni più cattive, che secondo me la band dovrebbe considerare parecchio in futuro. Chiusura affidata alla buona
Predictable Nature, alla interlocutoria
Kado e al lungo crescendo di
A Grey Sky: perfetta.
A livello di singoli, davvero nulla da eccepire. Sezione ritmica chirurgica, tastiere e synth perfetti e mai invadenti, chitarre di gran classe e, soprattutto, una voce calda e unica, con un timbro davvero difficile da trovare in giro, che rende ancora più personale un album che, pur essendo di fatto un debutto già suona incredibilmente maturo.
Insomma…chiamatelo alternative, chiamatelo prog, chiamatelo un po’ come vi pare.
Io lo chiamo, semplicemente, “
un disco da comprare”.
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