La musica è una cosa troppo seria per essere presa sul serio.
Quest’aforisma d’ispirazione Wilde-
iana, che campeggia sulla loro pagina
facebook, è effettivamente perfetto per sintetizzare quello che i
Cibo, con questo “Incredibile”, vogliono offrire al pubblico dei
rockofili, una “categoria umana” che mi sembra sempre meno “curiosa”, nonostante (o forse proprio a causa del) le innumerevoli sollecitazioni a cui è continuamente sottoposta.
L’ironia e il
nonsense di cui sono pervasi i testi del disco non devono, infatti, ingannare: la propensione alla demenzialità e allo spirito goliardico non nasconde evidenti carenze creative o il tentativo di attirare il consenso con la “battuta facile”, magari triviale e fine a se stessa, ma mira a sottolineare le distorsioni, l’ipocrisia e le tante ossessioni della società contemporanea, sfruttando una forma di sarcasmo e di gusto per il grottesco sicuramente “leggero” e non per questo molesto e oltremodo banale.
Musicalmente, poi, abbiamo a che fare con un prodotto piuttosto intrigante ed originale, ben congegnato nelle sfaccettate sfumature sonore che lo compongono, in un miscuglio “(in)credibile” di
punk,
hardcore,
hard-rock,
indie e
pop.
Al di là dei buffi pseudonimi scelti e delle singolari descrizioni che assegnano ai loro strumenti (
megadrum α,
superbasso velluto,
chitarra quercia,
chitarra swag, a cui si aggiunge la
voce che piace di Giorgiorico), i Cibo dimostrano competenza esecutiva e fantasia compositiva, coordinando con abilità le varie suggestioni stilistiche ed ottenendo un risultato sempre godibile e abbastanza sorprendente, arrivando ad inserire con discreto
raziocinio addirittura brevi strappi vocali in
growl (retaggio del loro passato
estremo).
Insomma, frivoli e divertenti, e tuttavia anche comunicativi e dotati di una buona dose di forza espressiva, i torinesi riescono a conquistare istantaneamente attenzione e gradimento grazie alle compulsioni di “Brittany”, alle atmosfere da
dance-floor deviato della feticistica “Discopiede” o ancora alle schizofrenie laceranti di “Asterione”.
“Violenza” svela il lato più “ruffiano” del gruppo, “Salutami il mare” e “Magnifico pranzo” catturano con una volubile attitudine “progressiva”, mentre meno convincenti appaiono l’aggressività
consolatoria di “T-Rex” (con Paolo Papero e la sua “voce cattivissima” come
special guest), le frenesie
punk-core-grind di “Pantaloncino fresco” e le spigliatezze un po’ puerili di “Guardaquantammerda”.
Andiamo meglio con le nevrosi liquide di “Incantesimo” e, soprattutto, con le fragranze mediorientali di “Men huel insegne”, una sorta di SOAD con la residenza trasferita a Porta Palazzo.
Dopo i Titor, un’altra interessante proposta di casa INRI, che non mancherà di farsi apprezzare da chi non ha ancora perso del tutto il senso dell’umorismo (l’autentica salvezza dei nostri tempi, mi sa …) e la voglia di cercare nella musica qualcosa di, sebbene magari ancora “imperfetto”, insolito e bizzarro.
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