A parità di (straordinaria) dotazione specialistica, è meglio un musicista rigoroso e un po’ “sbrodolone” o uno fantasioso e talvolta leggermente “enigmatico”? La diatriba è
annosa, con i sostenitori degli opposti schieramenti sempre pronti a difendere a spada tratta i propri modelli di riferimento. Per quanto riguarda uno degli strumenti fondamentali del
rock n’ roll, la chitarra, Yngwie Malmsteen, da un lato, e Steve Vai, dall’altro, incarnano in maniera esemplare i due diversi approcci alla materia, e cosa c’è di più efficace di un gruppo in cui hanno militato entrambi per cercare di dirimere la questione?
Mi spiace … forse perché non sono un “tecnico” e ho sempre cercato di basare le mie valutazioni da
musicofilo sull’ispirazione e sull’attitudine, subordinate poi entrambe al giudizio superiore del “gusto personale”, non sono in grado di fornire indicazioni utili al “dibattito”, considerando, nello specifico, sia gli
Alcatrazz mark I (con lo svedese in formazione) e sia la loro variante in
mark II (con l’americano, reduce dalla collaborazione con Frank Zappa, in squadra), una
band degna di grande considerazione, garanzia di copioso appagamento sensoriale.
Fatalmente le differenze tra le due incarnazioni non mancano, con un approccio più “moderno”, “tecnologico”, estroso ed accattivante dei secondi rispetto ai primi, mentre a rimanere costante è la qualità compositiva ed esecutiva di uno schieramento marchiato dalla voce carismatica di Graham Bonnet e da una da una
partnership con Vai fruttuosa anche oltre le previsioni.
Certo, all’epoca della sua uscita originale, in tempi d’irriducibili
settarismi, furono in parecchi a “storcere il naso”, soprattutto quelli più legati alla maggiore “disciplina” stilistica di “No parole from rock'n roll” e poco avvezzi ai cambiamenti, ma sono sicuro che oggi, alla luce di un orientamento del pubblico finalmente emancipato e “open minded” (!) ogni eventuale “pregiudizio” sarà sconfitto da un programma di ottimo livello complessivo, che sa essere oculatamente “ruffiano” ("God blessed video”, la notturna “Will you be home tonight”, “Skyfyre”), pur conservando intensità e grinta (l’
heavy rock ombroso di “Mercy”, l'esuberanza di “Wire and wood”e "Stripper”) ed
epos (“Desert diamond”), aggiungendo un pizzico d’inventiva straniante e comunicativa (“Painted lover”, una sorta di Van Halen
meets Yes, “Sons and lovers”, dove gli americano-olandesi sembrano
flirtare con i Queen o ancora l’immaginifica “Breaking the heart of the city”, “disturbata” solo da
pattern di batteria asettici e poco opportuni) e integrando nell’impasto sonoro un gusto maggiormente
synthetico e pomposo di tastiere, gestite con la consueta abilità dal notevole Jimmy Waldo.
Sarebbe stato davvero stuzzicante assistere all’evoluzione di un gruppo che, magari con un ulteriore contributo del “
little italian virtuoso” (come lo chiamava affettuosamente il mitico Frank …), avrebbe potuto produrre qualcosa di davvero estroso e geniale (un obiettivo che Steve raggiungerà poco dopo con “Eat ’em and smile” di David Lee Roth), ma il sodalizio con Bonnet si limiterà a questo lavoro, affidando l’intera questione alla sfera della pura congettura.
Tornando, quindi, al concreto, terminiamo l’analisi dicendo che tre
bonus-track dal vivo, verosimilmente
davvero interessanti solo per i novizi, completano la
re-release di un ottimo esempio di frizzante, contagioso e (perché no?)
audace hard-rock, da apprezzare e, nel caso, rivalutare senza indugi.