Come avrete già probabilmente capito dalle precedenti recensioni e dalle sistematiche interviste che trovate su queste
gloriose colonne, nutro una stima pressoché incondizionata nei confronti dei
Martiria, formazione romana di enorme intelligenza e statura artistica.
La “sgradevole” sensazione, però, che non siano stati sufficienti cinque capolavori in note e dieci anni di splendida attività, per riconoscere completamente e “universalmente” questa loro grandezza, disturba leggermente il mio
ego da “giornalista musicale” (meno quello del
rockofilo, congenitamente un pochino geloso dei suoi “protetti” …), un ruolo che dovrebbe servire proprio a trasmettere le priorità d’acquisto (
vabbè, diciamo almeno d’ascolto …) ai suoi lettori.
E allora sono giorni che mi arrovello su come cercare di attirare l’attenzione su questo “R-Evolution”, lo straordinario disco del decennale degli
epic-doomsters capitolini, un lavoro che ancora una volta sancisce la loro superiorità nel settore che vede Black Sabbath, Candlemass e Warlord come principali numi ispiratori.
In realtà, qualche “facile” appiglio ci sarebbe … un nuovo contratto con una
label inglese, che evidentemente ha saputo individuare le eccellenze del gruppo, il
mixaggio e la masterizzazione curata dall’autorevole Tue Madsen (The Haunted, Mnemic, Hatesphere, Ektomorf, …) e, soprattutto, la presenza di un “certo” Vinny Appice dietro i tamburi, sono elementi che potrebbero contribuire ad allettare gli appassionati più
sbadati (e magari “esterofili” …), ma la verità è che questo disco non può mancare nelle vostre
gotiche collezioni semplicemente perché è un perfetto esempio di lezione assimilata in maniera impeccabile e carismatica, una raccolta di brani scolpiti nel granito ed immersi in un gorgo di ossianica magniloquenza, una dimostrazione schiacciante di rigore, istinto ed estro, mai come oggi riuniti in una rara forma di proficua convivenza.
Non ci sono più “scuse”, insomma, nemmeno per una voce, quella di Rick Anderson (o del suo temporaneo sostituto Federico “Freddy” Giuntoli) a detta di qualche “folle” troppo poco potente per interpretare efficacemente queste titaniche atmosfere sonore.
Flavio Cosma, il nuovo
vocalist, dovrebbe riuscire a convincere anche i cultori della
vigoria fonatoria, conservando intensità, duttilità e notevoli capacità narrative, per una prestazione davvero
impressionante, in grado di evocare, a tratti, un autentico maestro delle arti nere ed epiche del calibro di Tony Martin.
Cosa aggiungere, poi, e che non sia già stato detto, su Andy Menario? Musicista e compositore sopraffino, cresciuto alla scuola di Iommi e Tsamis, il nostro è riuscito ancora una volta a superarsi espandendo ulteriormente le sue scansioni armoniche e i suoi immaginifici fraseggi, conferendo un adeguato dinamismo alla tipica enfasi drammatica che caratterizza le melodie, splendidamente integrate dai testi poetici e visionari di Marco Roberto Capelli, a conferma di un sodalizio essenziale quanto un’efficace alchimia esecutiva.
E a tal proposito, solo due parole sull’affiatamento e sull’efficienza della sezione ritmica, che mi fa definire, parafrasando una suggestiva espressione anglofona, quello qui celebrato tra Appice e Maniscalco un autentico “marriage made in heaven (& hell)”.
A questo punto, ci vorrebbe il consueto sproloquio per descrivere le singole canzoni, in cui amerei molto crogiolarmi e che tuttavia, forse, rischierebbe di “distrarre” … allora limitiamoci ad affermare che nel programma non c’è un solo momento interlocutorio, che “King of shadows (Orpheus)” e “Tsushima” aprono e chiudono il
sabba con esalazioni tenebrose, evocative e solenni, che “Steam power”, "Dark angels” e “The mark of Cain” (ottimi gli inserti vocali di Doriana Michetti) sono meglio degli ultimi Warlord, che l’
epic-slow “Southern seas”, la magia medievale di "Light brigade” e lo spirito eroico di "Across the mountains” toccano nel profondo, che “Salem”, la cangiante "Grim reaper” e “The viol and the abyss” (il
refrain è pura aristocrazia Rainbow-
iana …) incorporano un pizzico di ardore
power-metal nel sontuoso impasto, che la
title-track si affida ad un’interessante formula sonica più “diretta” e che il clima tragico e incombente di “The road of Tenochtitlan” offre una straordinaria “palestra” ai flessuosi registri canori di Cosma.
In conclusione, ribadisco che i Martiria sono un gruppo di assoluto valore internazionale, di cui l’Italia deve andare fiera, capace di esibire vertiginosi livelli espressivi in tutta la sua ormai cospicua parabola artistica … è ora che tutti se ne accorgano e gli tributino un giusto e supremo riconoscimento.