Pochi nel nostro paese conoscono l'importanza di questa band per il metal dell'est Europa. I
Turbo, fondati a Poznań, città situata sulle rive del fiume Warta nella Polonia centro-occidentale, da
Henryk Tomczak nel 1980 hanno all'attivo undici album da studio e un live. Dopo un decennio di successi in madrepatria, nel 1989 avvennero diversi cambi di line-up con l'uscita del bassista
Bogusz Rutkiewicz, sostituito dal chitarrista
Andrzej Łysów (che per l'occasione variò strumento, da chitarra a basso) e l'entrata di
Robert Friedrich (chitarra). Da questi mutamenti ne uscì
Epidemic. L'anno successivo vi fu una nuova rivoluzione nella formazione, da cui ne risultò lo strano
Dead End, con un cantato stile death metal, che non ebbe il successo sperato. Le continue modificazioni della line-up e la mancanza di concerti portarono la band all'inattività, con una decina di anni di pausa. Nel 2001 avvenne la reunion con:
Wojciech Hoffmann (chitarre),
Grzegorz Kupczyk (voce, tastiere),
Bogusz Rutkiewicz (basso) e
Mariusz Bobkowski (batteria). La rinnovata formazione fece uscire
Awatar, accolto malissimo dal popolo metallico. Dopo tre anni
Tomek Krzyżaniak entrò alla batteria e
Dominik Jokiel alla chitarra e i
Turbo tornarono all'heavy con
Identity, finalmente un successo di pubblico e critica. Nel 2005, dopo
Akustycznie (album acustico allegato alla limited edition di
Identity), una nuova separazione, dovuta a problemi con l'etichetta ed alla cattiva situazione del mercato musicale, segna la storia del gruppo polacco. Il 2009 è l'anno del ritorno sulle scene con
Strażnik Światła (ovvero
Il Guardiano della Luce), primo concept album della band. Dopo una pausa di cinque anni si arriva dunque a
The Fifth Element (versione inglese dell'originale
Piąty Żywiol, proprio traducibile come
Il Quinto Elemento), il disco oggetto di questa recensione.
Quando ci si trova fra le mani un album prodotto da una band così storicamente importante è sempre un piacere, ma allo stesso tempo un timore. C'è sempre quella sorta di rispetto che accompagna il recensore, come se si trattasse degli universalmente famosi Iron Maiden e Judas Priest. Avendo ascoltato diversi lavori prodotti dai Turbo è proprio agli inglesi capitanati da Rob Halford che vorrei accostare il gruppo polacco. Diverse caratteristiche affiancano difatti le due band, un heavy metal classico e roccioso, comandato da una voce spinta ai massimi livelli. In questo
The Fifth Element,
Tomasz Struszczyk si muove ancor di più verso le linee canore delineate da Rob Halford, alternando comunque momenti in cui, a mio avviso i punti migliori, si esprime con un pregevole stile proprio. L'album è composto da undici canzoni (più la bonus track) e parte subito in maniera possente, con
Think and Fight. Pezzo aderente all'heavy tradizionale non colpisce in maniera particolare e può far dubitare l'ascoltatore di trovarsi nella solita uscita trascurabile. Ma così, per fortuna, non è.
Taste of Forever, la seconda track di
The Fifth Element, ci riporta indietro verso quel metal classico che solo gruppi come i Judas Priest degli anni'80 erano capaci di creare; veramente una bella sorpresa. La seguente
Heart on the Pyre si apre con un assolo metallico e viene guidata da
Struszczyk, che ricalca un po' Halford e un po' si esprime come sa fare nel chorus. Lo stile è sempre vicino all'heavy classico, condito appunto da quel ritornello che può facilmente entrare nella mente. Passando alla title-track,
The Fifth Element, si ha, a mio modesto parere, un capolavoro. Un pezzo vario, un mid-tempo di sette minuti, dove
Struszczyk si esprime finalmente in modo personale e in maniera veramente eccezionale. Tutta la struttura della canzone è ragionata, gli assoli, le melodie, le linee vocali, veramente un gran lavoro dei
Turbo. Con
Smash the Wall la band resta sempre a livelli alti, rimanendo sempre sull'heavy tradizionale, ma non banale. La successiva,
Handful of Sand, intrattiene l'ascoltatore con un pregevole chorus, sempre old-style ed orecchiabile.
Rentless è un altro punto altissimo toccato dai
Turbo e da
Struszczyk, un altro mid-tempo ben strutturato ed eseguito, dove il cantante ricama una bella trama vocale.
Amalgalm è forse la track più moderna del disco, strumentale, dove i chitarristi si esprimono sicuramente al meglio.
Light Up the Night si riallaccia allo stile delle prime canzoni di
The Fifth Element, ma con un tono più epico che è avvicinabile alla title-track.
This War Machine, pezzo divulgato da Metal Mind per presentare l'album, è certamente uno dei meglio riusciti per ciò che è relativo all'aggressività e alla potenza, anche qui il chorus gioca un ruolo fondamentale.
A Blues Measured by the Clock Ticking è la canzone più lunga ed elaborata del disco, forse leggermente lontana da quel metal tradizionale esposto sino a questo momento.
Struszczyk compie un lavoro eccellente come tutto il resto della band; bellissimi i pochi secondi regalati dalla chitarra acustica. Un altro punto per i
Turbo.
Arrivati alla fine è presto detto che
The Fifth Element è un buon prodotto, che può piacere al metallaro in genere, arricchito da quei picchi che la band polacca ha raggiunto episodicamente nello scorrere dell'album. Certo, non un capolavoro, ma di sicuro un bel disco.
This War Machine