Il nuovo album dei tedeschi
Sinbreed riprende da dove il precedente esordio
When Words Collide ci aveva lasciato. In realtà
Shadows (questo il titolo dell'ultimo nato) può riprendere e continuare da qualunque punto, tanto nessuno se ne accorgerebbe.
Il powerone "alla tedesca" dei nostri ha infatti pochi elementi essenziali ripetuti all'infinito: doppia cassa incessante "a elicottero" che fa da tappeto a semplici riff muscolosi a cui vengono aggiunti cori e melodie che "acchiappano".
Sicuramente una ricetta antica e collaudata che ha fatto la fortuna dei vari
Grave Digger, Running Wild, Primal Fear, Persuader ma, dove questi chef aggiungevano l'ingrediente segreto per rendere il tutto più personale e appetitoso, i
Sinbreed rimangono un po' sterili. Non che siano dei cattivi esecutori, ci mancherebbe altro, ma quando si ascoltano tre/quattro canzoni da questo
Shadows, ci si esalta e si è già sazi. La spettacolare voce di
Herbie Langhans (anche nei
Beyond the Bridge, ex-
Seventh Avenue) è ruvida, aggressiva e melodica il giusto per risultare un bell'incrocio tra
Jorn Lande, Nils Patrik Johansson, Udo e
Diego Valdez ma a differenza di
Jorn, Astral Doors, Accept e
Helker, la musica dei tedeschi non può contare su fantasia, phatos, egregi arrangiamenti o vincenti progressioni sonore. Nonostante l'uomo con la testa coi manici, ovvero
Fredrik Emke (
Blind Guardian), picchi con energia e regolarità, manca molto la fantasia, il "fuori programma", il passaggio da campione. Tutto sembra giocato sui ritornelli e sulle già citate capacità di
Herbie. Forse la colpa principale è da attribuire al lavoro di chitarra del duo
Laurin/Siepen (anche quest'ultimo nei
Blind Guardian) che latita per fantasia, optando invece per suoni compressi, spesso ai limiti del thrash (sulla scia degli
Iced Earth) e rinnegando quel guizzo che faccia ricordare una canzone piuttosto che un'altra. Non un mid tempo, nessun intermezzo acustico, non una costruzione differente, brani invece molto simili tra loro che ti puoi ritrovare a cantare in macchina ma, come già detto, a piccole dosi.
Spararsi tutto il disco diventa un po' noioso e tutta la potenza e l'aggressività arrembante che i nostri possono produrre si scontra alla lunga su un muro di indifferenza. Giusto nel finale, gli ultimi due pezzi, sono leggermente più articolati ma la noia a quel punto ha già vinto.
Se avessero differenziato un minimo la proposta, se avessero inserito un paio di brani anthemici, up tempo o che so io, staremmo a parlare di un discone. Purtroppo il lavoro va valutato nel complesso e non sento di esaltarmi più di tanto, "accontentandomi" così di un buon disco power.