Gus G., ovvero Kostas Karamitroudis, oramai è uno dei più conosciuti ed affermati chitarristi del panorama metal mondiale. Attuale componente della band di
Ozzy Osbourne, nella quale ha sostituito un altro guitar-hero,
Zakk Wylde, si è destreggiato in diversi generi ed ha militato in diversi gruppi, come
Dream Evil,
Mystic Prophecy,
Nightrage e non per ultimi i
Firewind, dei quali è il mastermind, oltre a diverse partecipazioni come guest (
Arch Enemy,
Kamelot, ecc.). Con alle spalle un solo album solista di vecchia data, ovvero
Guitar Master (2001),
Gus G. ha ritenuto probabilmente che fosse l'ora di far uscire un nuovo capitolo della sua carriera di chitarrista. Ecco dunque
I Am the Fire, disco contenente dodici tracce che non vedono il solo artista greco esibirsi, anche alcuni noti personaggi della scena metal internazionale. Si possono quindi citare
Mats Levén (ex voce di
Malmsteen,
Therion e
At Vance), i bassisti di primordine
David Ellefson e
Billy Sheehan,
Alexia Rodriguez (vocalist degli hardcorer
Eyes Set To Kill),
Michael Starr degli
Steel Panther, il formidabile
Jeff Scott Soto,
Tom Englund (
Evergrey) e i
Devour the Day nella title-track. Inutile sottolineare che lo stile di
Gus G. ha subito una notevole evoluzione e che l'arte si è affinata vista la numerosa esperienza accumulata in questi anni. Nonostante questa crescita egli si dimostra comunque dedito ad un genere diverso da altri guitar-hero come
Satriani,
Vai,
Malmsteen,
Petrucci,
Wylde, etc. La peculiarità che distingue il chitarrista greco è il suo orientamento verso l'hard rock o il classico heavy, distante dal pomposo tecnicismo della scorsa generazione di solisti (si vedano alcuni di quelli già citati). La nuova generazione di eroi della chitarra (in cui annovererei anche
Jeff Loomis,
Andy James e naturalmente, con grande orgoglio nazionale,
Andrea Martongelli) sta riuscendo a ritagliarsi un buono spazio rispetto ai mostri sacri già nominati, dai quali si pensava di aver già sentito tutto quello che lo stile della chitarra metal potesse esprimere (per inciso, il sottoscritto ritiene ancora i
Cacophony di
Jason Becker e
Marty Friedman inarrivabili).
Gus G. mantiene in questo suo nuovo album la luce sui diversi strumenti proiettata pressoché in maniera bilanciata, non rendendo il chitarrista centro della scena, pur restando sempre in un ruolo rilevante. La scelta probabilmente non è soltanto stilistica, ma l'obiettivo è di sicuro quello di rendere il disco più appetibile all'intera gamma di pubblico e non limitarlo quindi ai musicisti. Per quanto riguarda a questa finalità si può promuovere questo lavoro di
Gus G., essendo un album ben strutturato, con canzoni tradizionali alternate alle strumentali, che faranno sicuramente felici gli amanti della chitarra.
Relativamente al songwriting ci si poteva invece aspettare un po' di più, in quanto
I Am the Fire soffre in alcuni punti, avendo comunque dei buonissimi episodi a proprio favore. Analizzando in dettaglio, si parte con il duo
My Will Be Done e
Blame It On Me, entrambe cantate da
Mats Levén, pezzi tipicamente hard rock o traditional heavy che mettono nel ritmo e nell'orecchiabilità i loro punti forti. La struttura è la classica di questi generi, con il solo centrale a spaccare la melodia, dove
Gus G. si fa sentire, anche se non in modo prepotente. La seguente è la title-track
I Am the Fire, un brani dal rock più moderno; buona la prestazione del vocalist dei
Devour the Day,
Blake Allison. Si ha poi la prima strumentale del disco, ovvero
Vengeance con
David Ellefson, tipica canzone che ci si poteva attendere di ritrovare in un album di un solista, potente e ben strutturata. La successiva
Long Way Down con
Alexia Rodriguez è uno degli esperimenti meglio riusciti, malinconica ma possente, qui la scelta di
Gus G. della voce femminile è stata proprio azzeccata. Bella anche
Just Can't Let Go con
Jacob Bunton (
Adler) con una notevole melodia vocale, riff pesanti alternati agli arpeggi e uno stupendo assolo del protagonista. Terrified è un altro brano strumentale, coadiuvato dal bass hero
Billy Sheehan, inarrestabile ed eseguito divinamente.
Eyes Wide Open è un ulteriore pezzo rock cantato da
Mats Levén, a mio parere il migliore fra quelli con l'ex-Malmsteen. La seguente
Redemption vede
Michael Starr compiere il proprio sporco lavoro su una track ritmata e scatenata, mentre
Gus G. offre uno degli assoli più belli dell'intero album.
Summer Days vede la presenza del grandissimo
Jeff Scott Soto che contribuisce a creare una delle canzoni più affascinanti di
I Am the Fire.
Dreamkeeper è un pezzo emozionante, dove il guitar hero dimostra di aver ancora molto da dare alla scena metal, una pseudo-ballad incantevole. L'album si conclude con
End of the Line, dove si ritrova ancora
Mats Levén, pezzo tutto sommato tranquillo, in cui l'assolo la fa da padrone.
I Am the Fire è sicuramente un disco che non passa inosservato, con una grande produzione, anche se ci sono degli episodi trascurabili che fanno un po' calare il giudizio. Il consiglio per l'acquisto è incerto: se siete dei chitarristi potreste rimanere delusi; se amate il metal più duro probabilmente resterete egualmente amareggiati; se invece ascoltate hard rock o heavy classico troverete probabilmente un album di vostro gusto, ben suonato e da riascoltare più volte.
Video di My Will Be Done