Tornano più incazzati che mai gli emiliani
Injury pronti a bastonare chiunque gli si pari davanti con la forza del loro bay area thrash. Questo secondo
Dominhate è un buon passo in avanti rispetto a
Unleash the Violence, non perché il precedente lavoro fosse fiacco o mal realizzato, ma perché subiva quei piccoli problemi di immaturità dovuti alla giovane età della band che, nonostante l'indubbia capacità musicale, cadeva a volte in qualche passaggio a vuoto risultando meno incisiva.
Problemi risolti con questo
Dominhate che va dritto al punto, ti prende, ti picchia e ti lascia a terra dolorante senza concedere tregua.
Exodus, Testament, Nuclear Assault, Overkill, Heaten sono nelle loro vene ed è impossibile non riscontrarne l'influenza nelle canzoni anche perchè questo genere, a meno che non si inseriscano elementi moderni o contaminazioni varie, ha nella botta sonora, nella velocità, e nel groove le sue radici. Gli
Injury, grazie anche alla buonissima capacità strumentale, riescono a costruire pezzi mai troppo complicati ma con validi riff da headbanging conditi da buoni assoli e spunti melodici precisi che danno ai brani la giusta personalità permettendo di essere ricordati e non solo subiti. Anche gli stacchi, i rallentamenti da moshpit e i cori di
antrace memoria giocano un ruolo importante nell'economia dei nostri, mantenendo in questo modo alto l'interesse durante l'ascolto, evitando un tupa tupa continuo e asfissiante tipico di molte band che praticano questo sport. C'è spazio anche per qualche atmosfera sinistra (
Slaves of Our Fears) che mi ha ricordato i
Kreator del periodo
Outcast oltre che gli immancabili
Pantera. Lo stile vocale di Alessandro è un mix di
Rob Dukes, Phil Anselmo e
Randy Blythe, arrabbiato, urlato ma non eccessivamente monotono e col grande pregio di evitare di inserire clean vocals poppettare che non se ne può più.
Gli
Injury non si perdono nel mero scopiazzamento di schemi triti e ritriti, di produzioni finto-ottantiane ma propongono la loro musica con un velo di modernità che si riscontra anche nei suoni scelti e in certe soluzioni (
Ride the Riot, Fashion Swine). Non mancano nemmeno le vetrine in cui i nostri possono dare sfoggio della loro bravura, oltre alla fischiante chitarra di
Paul, infatti, anche l'ottimo basso di
Mibbe (pure nei distruttivi
The Modern Age Slavery) ha diverse occasioni per mettersi in mostra (
Unaware Prisoners ad esempio), mentre la batteria e la ritmica di macinano a dovere compatti, riempiendo tutti gli spazi. Un valore aggiunto è la produzione, con suoni ben definiti ed equalizzati, ottenuta grazie al sapiente lavoro di Simone Mularoni ai Domination Studios di San Marino.
Accorciando qualche passaggio e puntando maggiormente sulle accelerazioni (le capacità ci sono tutte) possono migliorare ulteriormente e fare ancora più male.
Che altro dire?
Dominhate è fuori il 4 marzo per la neonata ma arrabbiatissima label statunitense
Ferocious Records, vecchi thrashers, dategli un ascolto.
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