Quando arrivano in redazione dischi come questo è sempre una cosa strana. Un gruppo cinese, che fa death metal, mischiato al folk, non ispira certo la maggior parte dei recensori. Tuttavia, non appena fatto partire, il disco dei
Tengger Cavalry apre un mondo straordinario che porta direttamente in una delle regioni più antiche e con maggior storia del mondo, quella sino-mongola. Sì, perché la peculiarità dei
Tengger Cavalry non è soltanto quella di raccontare storie della loro terra, ma anche di trasportarle in musica attraverso l'introduzione di strumenti tradizionali della Mongolia fusi con la classica potenza ed aggressività del metal estremo. Il
morin khuur è un antico strumento ad arco (di c.ca 2000 anni fa) le cui corde venivano prodotte con peli ottenuti delle code di cavallo, il corpo è solitamente in legno di forma trapezoidale e alla fine del lungo manico, dove si trovano le due chiavi per l'accordatura, è generalmente intagliata una testa di cavallo. Il secondo strumento suonato dai
Tengger Cavalry è il
dombra, di origine kazako-tatara, una sorta di liuto che varia di caratteristiche a seconda della regione in cui lo si trova (Kazakhistan, il territorio del Turkestan o del Badakhshan). Sarebbe una bugia se dicessi che conoscevo questo gruppo prima di recensire questo disco, ma la scoperta mi ha invogliato a cercare anche le release precedenti. Quello proposto dai
Tengger Cavalry è senza dubbio un folk/pagan metal avvicinabile a quello che solitamente proviene dalle terre scandinave, soltanto che in quei casi l'oggetto delle lyrics sono le loro gloriose leggende e saghe nordiche. Qui invece ci si trova di fronte ad una band che presenta la storia e il folklore mongolo, intriso con elementi della tradizione nomade asiatica, nonostante il gruppo provenga da Pechino. Per di più nel monicker c'è un elemento arcaico,
Tengger (o
Tengri) era il dio principale nel pantheon antico-turco, colui che controllava la sfera celeste.
I
Tengger Cavalry hanno all'attivo cinque album (anche se non tutti sono arrivati in Occidente) e fino al terzo
Black Steed era la one-mand-band del mastermind
Nature Zhang. Nel tempo la formazione si è arricchita sino a quella che possiamo sentire ora su
Ancient Call, che conta cinque componenti, fra cui due suonatori di
morin khuur e uno di
dombra. Questo nuovo disco contiene dieci tracce di diversa natura, ma caratterizzate sempre da elementi folk e dallo scream di
Nature Zhang. L'opener
Dance with the Wolf è una intro acustica di circa un minuto e quindici secondi che richiama la musica folkloristica mongola, dove in primo piano stanno solamente i suddetti strumenti tradizionali. Con
Gallopping Towards the Great Land i
Tengger Cavalry si gettano totalmente nel folk metal mischiando tutti gli elementi preannunciati sin d'ora. Una canzone veloce e potente con degli eccezionali segmenti di puro folk. La successiva
Battle Song from Far Away segue la linea tracciata dal pezzo antecedente, dove gli strumenti tradizionali fanno la differenza e creano la tipica atmosfera orientale.
Hymn of the Earth è introdotta anch'essa da classiche melodie asiatiche per poi trasformarsi in una canzone potente aggressiva dove il cantato di
Nature Zhang si fa valere. Per tutto il disco i
Tengger Cavalry riservano dei momenti al morin khuur e al dombra in maniera di esaltare al massimo le proprie peculiari caratteristiche musicali. La band vuole indubbiamente riportare l'ascoltatore ai tempi degli indomiti guerrieri nomadi e creare nella mente le immagini delle antiche battaglie. Con
Echo of the Grassland il gruppo si concede una sosta e lascia interamente la scena agli strumenti tradizionali che imbastiscono una bellissima canzone acustica.
Brave riprende il forsennato ritmo pagan-folk che poi prosegue nella possente
Summon the Warrior. Con
The Battlefront si ha una introduzione solenne a
Chant of the Cavalry, canzone dal tono epico, straordinariamente strutturata ed eseguita. Con
Legend on Horseback ci si avvia purtroppo alla fine dell'album. I
Tengger Cavalry trattengono l'ascoltatore nella loro terra ancora per cinque minuti di puro folk/pagan metal.
Il dispiacere che mi porta al conclusione dell'album è pari solamente allo stupore che questa band ha saputo suscitare. Un'uscita inusuale per il mercato occidentale, ma incredibile e assolutamente consigliata agli amanti del folk/pagan che vogliono provare qualcosa di differente rispetto alle assodate release dell'esercito folkmetallico scandinavo.
Summon The Warrior (2014)