La Frontiers non finirà mai di stupirmi … si accaparra, in pratica, tutto il meglio del
melodic rock “storico”, sostiene buona parte dei nomi “nuovi” maggiormente interessanti del settore e assembla continuamente progetti vincenti, solo in apparenza
autoreferenziali e costruiti a “tavolino”, combinando con sagacia celebrità e
cult-heroes, dimostrando una cultura e un’intelligenza sicuramente fuori dall’ordinario, che non a caso l’hanno fatta diventare il riferimento cardinale dell’intera “scena” internazionale.
Andare a “scovare” Thomas La Verdi,
singer dei 21 Guns di Scott Gorham, affiancarlo al “fedele” Josh Ramos (Le Mans, The Storm, Two Fires, China Blue, Hardline, Ramos-Hugo, …) e a Michael Shotton (Von Groove, Hardline, Airtime), e poi affidarli alle cure produttive, esecutive e compositive di Alessandro Del Vecchio (ormai un autentico luminare, apprezzato, invidiato e bramato da tutta la comunità melodica … anche ottimo cuoco, a quanto si apprende dalle note promozionali di questo disco!), è un’altra di quelle operazioni da incorniciare, in grado di scacciare fin dal primo ascolto di “Down to the core” ogni eventuale ostinato residuo di scetticismo, ancora latente anche dopo le innumerevoli collaborazioni pregne di classe e naturalezza patrocinate dalla
label partenopea.
Gli
L.R.S., questa la “didascalica” denominazione del gruppo, rappresentano, infatti, una sorta di linimento per l’anima di tutti gli estimatori di Journey, Bad English, The Storm e Tall Stories, un unguento sensoriale leggiadro e intenso che assisterà, grazie a talune raffinate progressioni sonore, anche i cultori dei favolosi Triumph, un nettare per chi, insomma, nella musica non insegue pedissequamente l’originalità
tout court e sa ancora distinguere tra una “copia”, seppur magari pregevole, e una manifestazione di tangibile ispirazione.
Brani come “Our love to stay” (pura e limpida celebrazione Journey-
esque, persino uno
zinzino troppo “spudorata”, forse …) , “Livin’ 4 a dream” e lo
slow "I can take you there”, con un Ramos credibile e scintillante discepolo di “sua maestà” Schon e un La Verdi impegnato con successo a tallonare da vicino gente del calibro di Perry, Chalfant e Waite (a cui aggiungere pure appena un pizzico di Mike Tramp …), sono la dimostrazione schiacciante di un approccio “classico” e non per questo fastidiosamente derivativo, e se a questo aggiungete la disinvoltura solare di “Never surrender”, la delicatezza REO Speedwagon-
iana di “Almost over you” e la grintosa eleganza di "Shadow of a man”, appare chiaro quanto siano lontani da questi lidi sonori gli sterili tentativi di “riciclaggio” di formule immarcescibili.
Il contagio istantaneo e clamoroso di “Universal cry”, un mirabile modello di luce, sensibilità ed estensione, ci conduce alla bella
ballatona "To be your man” (eccellente il
solo di Josh …) e mentre la
title-track dell’albo e “Waiting for love” concedono all’astante un altro paio di gradevoli scosse
adulte, “I will find my way” e “Not one way to give” sono nuovamente riservate alle indoli più sentimentali e sofisticate, che finiranno sicuramente per essere ammaliate dal grazioso tocco
bluesy della prima e dalla toccante magniloquenza della seconda, a completamento di un lavoro che trasuda passione e fervore espressivo.
Sottolineando, infine, l’importanza per la
band del grande Michael Shotton (riscoprite ora i suoi Von Groove, non ve ne pentirete …), una sicurezza dietro i tamburi e
backing vocalist di enorme valore, non mi resta che consigliare caldamente questa ennesima
meraviglia, per poi invitare tutti i
melomani ad una verifica “in diretta” della questione all’imminente Frontiers Rock Festival, un evento che, a proposito di “sorprese” inaspettate e straordinarie, non ha davvero rivali in questo promettentissimo 2014.